Non ci interessa la ricchezza, ciò che vogliamo è allevare bene i nostri figli. La ricchezza non è di nessuna utilità e non si può portarla con noi una volta morti. Noi non vogliamo ricchezze. Vogliamo amore e pace. (Nuvola Rossa Guerriero Oglala dei Sioux Tetones) Questo Blog vuole essere un punto di incontro per chi crede ancora che"Un altro mondo è possibile",a chi crede ancora negli ideali,a chi crede che oggi ci sia bisogno di una "Resistenza attiva"
lunedì 31 maggio 2010
L'Attacco israeliano contro navi pacifiste è un atto criminale. Basta ipocrisie. Sanzioni contro Israele.
L'aggressione israeliana contro la nave di pacifisti diretta a Gaza rappresenta un atto criminale. Un atto di terrorismo di stato, che non può rimanere senza conseguenze. Chiediamo l'immediata sospensione di ogni trattato di cooperazione economica, commerciale e militare, del nostro paese come dell'Unione Europea, nei confronti di Israele. Si prendano decisioni nette in sede internazionale di condanna e di sanzioni nei confronti di Israele. Si esiga l'immediata revoca del blocco della striscia di Gaza. Basta con la intollerabile politica dei due pesi e delle due misure che ha garantito ad oggi al governo israeliano la totale immunità nonostante una politica di guerra e oltranzista che ha reso vano ogni tentativo di accordo negoziale per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Rifondazione Comunista si impegna nelle prossime ore a mobilitarsi in questo senso e nell'esprimere il proprio cordoglio per le vittime del brutale massacro, ribadisce il proprio pieno sostegno e appoggio alle azioni del movimento pacifista e di solidarietà internazionale, come il free gaza movement, che attraverso l'invio di navi aveva l'obiettivo di denunciare al mondo l'immorale e infame assedio a cui è sottoposta la popolazione civile di Gaza.
Fabio Amato
Responsabile Nazionale Esteri PRC-SE
venerdì 28 maggio 2010
LA SVOLTA A DESTRA DELLA CGIL TRA MILLE CONTRADIZIONI
Pubblico volentieri un articolo del compagno Paolo Grassi, che potrete trovare nel giornale "Falce e Martello"
L’8 maggio si è concluso a Rimini il congresso della Cgil. Nell’assise nazionale è stato ribadito che la Cgil rinuncia a proseguire nella battaglia per opporsi all’accordo separato sulla controriforma della contrattazione, è stata rilanciata, costi quel che costi, l’unità con Cisl e Uil e si sono modificati a colpi di maggioranza passaggi significativi dello Statuto dell’organizzazione.
Il congresso ha anche visto per la prima volta una mozione alternativa votare contro il documento finale, mozione che nel direttivo di giugno si costituirà come area organizzata.
Il primo elemento che colpisce nel dibattito di Rimini è che molte delle cose dette dal segretario Epifani non sono state oggetto di discussione nei congressi di base svolti qualche mese prima. Ovvero che la Cgil intende modificare l’accordo separato nel 2013, quando dovrà essere sottoposto a verifica tra le parti. Intanto per creare le condizioni per modificarlo, non si parla più di abrogarlo, si dovrà continuare sulla strada degli accordi di categoria unitari. Se si esclude il contratto dei metalmeccanici, dove la Fiom si è rifiutata di sottoscrivere l’accordo nazionale firmato da Federmeccanica, Fim e Uilm, sono ormai oltre quaranta i contratti di categoria firmati con le altre sigle, e tutti hanno come matrice comune l’accordo separato del 22 gennaio.
Il secondo elemento importante è che la Cgil ha deciso di adoperarsi in ogni modo per ricucire gli strappi con Cisl e Uil.
I segretari di Cisl e Uil, nei loro interventi, hanno accolto l’appello all’unità di Epifani a patto che si faccia come dicono loro.
La lista dei passaggi nei vari interventi in cui si respirava questa ratifica della svolta a destra sono molti:l’appello al governo perché consideri la Cgil un interlocutore, la proposta a Confindustria di collaborare per uscire dalla crisi, l’accusa alla Fiom di promuovere un conflitto che non porta da nessuna parte, sono solo alcuni esempi con tanti saluti alla battaglia per difendere lo Statuto dei lavoratori.
Se queste posizioni fossero state esplicitate all’inizio del congresso probabilmente la mozione alternativa avrebbe avuto ben altre percentuali. Del resto che il vertice della Cgil non sia disposto a un confronto su posizioni contrapposte si è visto anche nelle modifiche riportate nello Statuto. È stata infatti approvata una modifica che affida al solo direttivo nazionale il compito di pronunciarsi su accordi di carattere generale, le categorie non avranno più il diritto ad esprimersi.
Una situazione instabile
Non può passare inosservato il fatto che mai congresso della Cgil è stato superato dagli avvenimenti così in fretta. Finito il congresso il Governo ha convocato per ben due volte Cisl e Uil per consultarle sulla finanziaria e ancora una volta la Cgil ne è stata esclusa. Finiti gli incontri il Governo ha presentato in parlamento l’ennesima manovra lacrime e sangue, 24 miliardi di euro, in particolare contro i lavoratori del pubblico impiego; vengono tagliate le finestre per andare in pensione, viene anticipato l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni, sono bloccati i salari fino al 2013, non verranno rinnovati i contratti di almeno la metà dei lavoratori precari in organico.
Solo a questo punto Epifani, che tanto aveva elogiato il ritorno alla concertazione a discapito del conflitto, ha dovuto annunciare lo sciopero generale. Non male, considerando quanto si è speso per convincere Governo, padroni e Cisl nel sotterrare l’ascia di guerra, imbarazzante se si pensa che proprio al congresso la maggioranza ha bocciato un ordine del giorno presentato dalla seconda mozione che chiedeva di discutere al più presto la convocazione dello sciopero contro i provvedimenti del governo.
La necessità di Epifani di convocare lo sciopero nasce da mille contraddizioni che sono da tempo aperte. La crisi alimenta la consapevolezza di tanti lavoratori che così non si può andare avanti. I segnali sono molteplici e l’attacco ai lavoratori delle amministrazioni pubbliche è l’ultima provocazione che ha costretto la Cgil a fare qualcosa, anche per non lasciare terreno libero ai sindacati di base, va ricordato che il 23 maggio a Roma è nato un nuovo sindacato l’Usb, fusione dell’Rdb e Sdl, che ha lanciato una serie di mobilitazioni che culmineranno con lo sciopero nazionale del 14 giugno (mobilitazioni che vedono il sostegno e la partecipazione anche di Cub e Cobas) che ha al centro proprio i lavoratori pubblici. Sciopero che proprio per il radicamento che i sindacati di base hanno in questo settore ha possibilità di successo.
Ricostruire l’alternativa
Il problema è che se pur è vero che alla fine la Cgil è stata costretta a convocare lo sciopero questo rimane inadeguato rispetto alle reali necessità. Perché è di sole quattro ore e perché non dà una vera prospettiva su come costringere il Governo a retrocedere dai propri piani, esattamente come successo per gli scioperi del dicembre 2008 e marzo 2010.
Al congresso della Cgil è emersa una novità importante, per la prima volta dal 2001 è stata presentata una mozione alternativa. Una mozione eterogenea dove sono presenti settori del movimento operaio più avanzati come la Rete 28 aprile o la Fiom, ma anche pezzi che nel recente passato hanno condiviso le politiche concertative come i segretari uscenti di Funzione pubblica e bancari.
Proprio questa eterogeneità ha impedito che il congresso si sia concluso con due documenti contrapposti, anche se comunque la mozione ha votato contro il documento finale dalla maggioranza, cosa non da poco visto che neanche le sinistre sindacali del passato erano arrivate a tanto.
L’area che questa mozione ha deciso di promuovere, non senza difficoltà in particolare per le resistenze della Fiom, rappresenta una novità e forse può diventare una vera opposizione in futuro.
Questa possibilità può concretizzarsi però solo se i tanti lavoratori che hanno dato vita alla mozione nei congressi di base sapranno giocare un ruolo da protagonisti proponendosi come alternativa nei luoghi di lavoro organizzando dal basso l’opposizione ai padroni. Per fare tutto ciò, per evitare che quella che sta nascendo sia l’ennesima area burocratica il cui scopo è quello di agevolare qualche burocrate ad entrare in qualche segreteria, è necessario da subito battersi perché siano i delegati e i lavoratori in produzione a organizzarla e dirigerla. Serve un programma avanzato che sia in grado di elaborare rivendicazioni e metodi di lotta adeguati alla fase di crisi che stiamo attraversando; difesa di ogni posto di lavoro e dei siti produttivi attraverso la riduzione d’orario fino ad arrivare alla nazionalizzazione delle aziende in crisi, e serve un nuovo modo di gestione dell’opposizione, che prende come riferimento quella democrazia operaia di cui tanto si parla in queste settimane in occasione dell’anniversario dello Statuto dei lavoratori e della stagione dei consigli di fabbrica nati dalle lotte dell’autunno caldo. Ovvero controllo dal basso e revocabilità in ogni momento di chi è chiamato a rappresentarci.
La sfida è difficile e sicuramente la fase che stiamo attraversando non è delle più favorevoli, la cassa integrazione, gli esuberi colpiscono in particolare i settori industriali rendendo tutto più difficile. Oltretutto è evidente che con la scadenza del mandato di Rinaldini da segretario della Fiom anche nei metalmeccanici (dove non sono mancati anche atteggiamenti moderati in diverse vertenze) può essere all’ordine del giorno un’involuzione a destra della categoria, segnali a questo proposito non mancano.
Dobbiamo batterci perché questo sciopero non sia una semplice valvola di sfogo, esigendo una piattaforma all’altezza e lavorando per un’adesione massiccia: se i lavoratori si riprendono la parola nelle piazze sarà più forte anche la nostra battaglia contro la deriva a destra, un’area di opposizione nella Cgil può vivere solo costruendo il conflitto reale nei luoghi di lavoro e in tutto il paese.
Spetta in primo luogo ai compagni della Rete 28 aprile, che in questi anni hanno tentato con forze estremamente ridotte di tenere viva la battaglia per un sindacato di classe e combattivo, organizzare nella nuova area che nascerà i tanti lavoratori che ancora non si sono arresi a una Cgil che vorrebbe avviarsi al sindacato unico con Cisl e Uil.
Paolo Grassi
L’8 maggio si è concluso a Rimini il congresso della Cgil. Nell’assise nazionale è stato ribadito che la Cgil rinuncia a proseguire nella battaglia per opporsi all’accordo separato sulla controriforma della contrattazione, è stata rilanciata, costi quel che costi, l’unità con Cisl e Uil e si sono modificati a colpi di maggioranza passaggi significativi dello Statuto dell’organizzazione.
Il congresso ha anche visto per la prima volta una mozione alternativa votare contro il documento finale, mozione che nel direttivo di giugno si costituirà come area organizzata.
Il primo elemento che colpisce nel dibattito di Rimini è che molte delle cose dette dal segretario Epifani non sono state oggetto di discussione nei congressi di base svolti qualche mese prima. Ovvero che la Cgil intende modificare l’accordo separato nel 2013, quando dovrà essere sottoposto a verifica tra le parti. Intanto per creare le condizioni per modificarlo, non si parla più di abrogarlo, si dovrà continuare sulla strada degli accordi di categoria unitari. Se si esclude il contratto dei metalmeccanici, dove la Fiom si è rifiutata di sottoscrivere l’accordo nazionale firmato da Federmeccanica, Fim e Uilm, sono ormai oltre quaranta i contratti di categoria firmati con le altre sigle, e tutti hanno come matrice comune l’accordo separato del 22 gennaio.
Il secondo elemento importante è che la Cgil ha deciso di adoperarsi in ogni modo per ricucire gli strappi con Cisl e Uil.
I segretari di Cisl e Uil, nei loro interventi, hanno accolto l’appello all’unità di Epifani a patto che si faccia come dicono loro.
La lista dei passaggi nei vari interventi in cui si respirava questa ratifica della svolta a destra sono molti:l’appello al governo perché consideri la Cgil un interlocutore, la proposta a Confindustria di collaborare per uscire dalla crisi, l’accusa alla Fiom di promuovere un conflitto che non porta da nessuna parte, sono solo alcuni esempi con tanti saluti alla battaglia per difendere lo Statuto dei lavoratori.
Se queste posizioni fossero state esplicitate all’inizio del congresso probabilmente la mozione alternativa avrebbe avuto ben altre percentuali. Del resto che il vertice della Cgil non sia disposto a un confronto su posizioni contrapposte si è visto anche nelle modifiche riportate nello Statuto. È stata infatti approvata una modifica che affida al solo direttivo nazionale il compito di pronunciarsi su accordi di carattere generale, le categorie non avranno più il diritto ad esprimersi.
Una situazione instabile
Non può passare inosservato il fatto che mai congresso della Cgil è stato superato dagli avvenimenti così in fretta. Finito il congresso il Governo ha convocato per ben due volte Cisl e Uil per consultarle sulla finanziaria e ancora una volta la Cgil ne è stata esclusa. Finiti gli incontri il Governo ha presentato in parlamento l’ennesima manovra lacrime e sangue, 24 miliardi di euro, in particolare contro i lavoratori del pubblico impiego; vengono tagliate le finestre per andare in pensione, viene anticipato l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni, sono bloccati i salari fino al 2013, non verranno rinnovati i contratti di almeno la metà dei lavoratori precari in organico.
Solo a questo punto Epifani, che tanto aveva elogiato il ritorno alla concertazione a discapito del conflitto, ha dovuto annunciare lo sciopero generale. Non male, considerando quanto si è speso per convincere Governo, padroni e Cisl nel sotterrare l’ascia di guerra, imbarazzante se si pensa che proprio al congresso la maggioranza ha bocciato un ordine del giorno presentato dalla seconda mozione che chiedeva di discutere al più presto la convocazione dello sciopero contro i provvedimenti del governo.
La necessità di Epifani di convocare lo sciopero nasce da mille contraddizioni che sono da tempo aperte. La crisi alimenta la consapevolezza di tanti lavoratori che così non si può andare avanti. I segnali sono molteplici e l’attacco ai lavoratori delle amministrazioni pubbliche è l’ultima provocazione che ha costretto la Cgil a fare qualcosa, anche per non lasciare terreno libero ai sindacati di base, va ricordato che il 23 maggio a Roma è nato un nuovo sindacato l’Usb, fusione dell’Rdb e Sdl, che ha lanciato una serie di mobilitazioni che culmineranno con lo sciopero nazionale del 14 giugno (mobilitazioni che vedono il sostegno e la partecipazione anche di Cub e Cobas) che ha al centro proprio i lavoratori pubblici. Sciopero che proprio per il radicamento che i sindacati di base hanno in questo settore ha possibilità di successo.
Ricostruire l’alternativa
Il problema è che se pur è vero che alla fine la Cgil è stata costretta a convocare lo sciopero questo rimane inadeguato rispetto alle reali necessità. Perché è di sole quattro ore e perché non dà una vera prospettiva su come costringere il Governo a retrocedere dai propri piani, esattamente come successo per gli scioperi del dicembre 2008 e marzo 2010.
Al congresso della Cgil è emersa una novità importante, per la prima volta dal 2001 è stata presentata una mozione alternativa. Una mozione eterogenea dove sono presenti settori del movimento operaio più avanzati come la Rete 28 aprile o la Fiom, ma anche pezzi che nel recente passato hanno condiviso le politiche concertative come i segretari uscenti di Funzione pubblica e bancari.
Proprio questa eterogeneità ha impedito che il congresso si sia concluso con due documenti contrapposti, anche se comunque la mozione ha votato contro il documento finale dalla maggioranza, cosa non da poco visto che neanche le sinistre sindacali del passato erano arrivate a tanto.
L’area che questa mozione ha deciso di promuovere, non senza difficoltà in particolare per le resistenze della Fiom, rappresenta una novità e forse può diventare una vera opposizione in futuro.
Questa possibilità può concretizzarsi però solo se i tanti lavoratori che hanno dato vita alla mozione nei congressi di base sapranno giocare un ruolo da protagonisti proponendosi come alternativa nei luoghi di lavoro organizzando dal basso l’opposizione ai padroni. Per fare tutto ciò, per evitare che quella che sta nascendo sia l’ennesima area burocratica il cui scopo è quello di agevolare qualche burocrate ad entrare in qualche segreteria, è necessario da subito battersi perché siano i delegati e i lavoratori in produzione a organizzarla e dirigerla. Serve un programma avanzato che sia in grado di elaborare rivendicazioni e metodi di lotta adeguati alla fase di crisi che stiamo attraversando; difesa di ogni posto di lavoro e dei siti produttivi attraverso la riduzione d’orario fino ad arrivare alla nazionalizzazione delle aziende in crisi, e serve un nuovo modo di gestione dell’opposizione, che prende come riferimento quella democrazia operaia di cui tanto si parla in queste settimane in occasione dell’anniversario dello Statuto dei lavoratori e della stagione dei consigli di fabbrica nati dalle lotte dell’autunno caldo. Ovvero controllo dal basso e revocabilità in ogni momento di chi è chiamato a rappresentarci.
La sfida è difficile e sicuramente la fase che stiamo attraversando non è delle più favorevoli, la cassa integrazione, gli esuberi colpiscono in particolare i settori industriali rendendo tutto più difficile. Oltretutto è evidente che con la scadenza del mandato di Rinaldini da segretario della Fiom anche nei metalmeccanici (dove non sono mancati anche atteggiamenti moderati in diverse vertenze) può essere all’ordine del giorno un’involuzione a destra della categoria, segnali a questo proposito non mancano.
Dobbiamo batterci perché questo sciopero non sia una semplice valvola di sfogo, esigendo una piattaforma all’altezza e lavorando per un’adesione massiccia: se i lavoratori si riprendono la parola nelle piazze sarà più forte anche la nostra battaglia contro la deriva a destra, un’area di opposizione nella Cgil può vivere solo costruendo il conflitto reale nei luoghi di lavoro e in tutto il paese.
Spetta in primo luogo ai compagni della Rete 28 aprile, che in questi anni hanno tentato con forze estremamente ridotte di tenere viva la battaglia per un sindacato di classe e combattivo, organizzare nella nuova area che nascerà i tanti lavoratori che ancora non si sono arresi a una Cgil che vorrebbe avviarsi al sindacato unico con Cisl e Uil.
Paolo Grassi
domenica 23 maggio 2010
giovedì 20 maggio 2010
mercoledì 19 maggio 2010
DOMENICA 23 MAGGIO DALLE ORE 9 ALLE ORE 13 SAREMO PRESENTI PRESSO LA FOSSA BETTONI CON UN BANCHETTO PER LA RACCOLTA FIRME SULL'ACQUA BENE COMUNE.
VI ASPETTIAMO NUMEROSI A SOTTOSCRIVERE LA PROPOSTA DEI REFERENDUM PROMOSSI DAL FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L'ACQUA.
VI ASPETTIAMO NUMEROSI A SOTTOSCRIVERE LA PROPOSTA DEI REFERENDUM PROMOSSI DAL FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L'ACQUA.
Un diluvio di firme per l'acqua bene comune
Dal 22 aprile è partita la raccolta di firme per i tre quesiti refendari proposti dal "FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA" (e quindi, tecnicamente, si tratta di tre referendum), che hanno una valenza autonoma ognuno per sè, ma che nel loro complesso formano una richiesta coerente di ripubblicizzazione dei beni comuni a partire dall'acqua. Questo è ciò che li differenzia dal referendum proposto da Di Pietro, che invece punta semplicemente a ristabilira la possibilità per gli enti locali (comuni e province) di mantenere la proprietà pubblica sull'acqua.
Difatti con le ultime leggi emanate, diventa obbligatorio per tutti la cessione ai privati dell'acqua, come di tutti i servizi (rifiuti, elettricità, metano, etc.), mentre Di Pietro chiede che ritorni in vigore la possibilità di scelta tra tre modalità: a) privatizzazione secca; b) società miste pubblico-privato, con funzionamento comunque privatistico-capitalistico; c) gestione pubblica - cosiddetta "in house" - a certe condizioni.
Rifondazione Comunista di Brescia è da sempre attivamente presente nel Comitato Bresciano Acqua, che da anni si riunisce di solito nella sede del MIR di via Milano, e sta impegnando direttamente le sue strutture a supporto di tutta l'attività di sindacati, associazioni, gruppi, partiti che stanno raccogliendo firme in tutta la provincia. In particolare la nostra sede di via Cassala 34 è uno dei due centri di distribuzione dei moduli e di futura raccolta, controllo e completamento burocratico degli stessi (l'altro è la CGIL). Finora nella nostra sede sono stati distribuiti circa 430 moduli - corrispondenti potenzialmente a circa 17.200 firme se completati senza errori -, ai più diversi soggetti: Cobas, Sdl, Acli, comitati locali, partiti, oltre che naturalmente ai nostri compagni nelle zone.
La raccolta firme segue le regole valide per la sottoscrizione delle liste nelle elezioni (vedi qui), con la sostanziale differenza che per i referendum i moduli di raccolta devono essere vidimati dal tribunale PRIMA della raccolta della firme. Senza la vidimazione preventiva sul modulo ancora in bianco, le firme raccolte sono TUTTE NULLE.
- Il soggetto promotore a livello nazionale è il FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA (vedi qui l'elenco degli aderenti tratto dal sito ufficiale del forum).
- Il primo dei nostri quesiti si intitola "Contro la privatizzazione del servizio idrico integrato" ed il modulo di raccolta firme è color blu. Vedi qui il testo del quesito.
- Il secondo dei nostri quesiti si intitola "Contro l'affidamento a società di capitali del servizio idrico integrato" ed il modulo di raccolta firme è color verde. Vedi qui il testo del quesito.
- Il terzo dei nostri quesiti si intitola "Contro il profitto nella gestione del servizio idrico integrato" ed il modulo di raccolta firme è color rosso. Vedi qui il testo del quesito.
Se ti interessa puoi trovare il testo del quesito di Di Pietro qui.
Una chiarificazine delle differenze tra il nostro referendum e quello di Di Pietro la puoi trovare qui.
Tuttavia nel complesso percorso elaborato dal Forum italiano per l'acqua pubblica il referendum è solo il primo passo. Innanzitutto bisognerà vedere se i referendum saranno ammessi dalla Corte Costutuzionale (diamo per scontato che l'obiettivo delle firme sarà non solo superato, ma letteralmente sommerso).
A questo proposito si può leggere qui la relazione tecnico-giuridica di sostegno ai nostri tre referendum elaborata da un gruppo di giuristi di chiara fama.
Una volta ammessi i referendum, ci sarà lo scoglio più difficile, quello del quorum di votanti, che deve essere, in base alla formulazione esplicita della Costituzione la metà più uno degli aventi diritto. Sarebbe necessario rivedere tale norma, visto che tutti abbiam scoperto il trucco di far fallire il referendum del "nemico" non andando a votare. Solo che in questo modo il referendum, che con tutti suoi difetti e pericoli è l'unico strumento di espressioe diretta della volontà popolare, è stato vanificato. Sarebbe necessaria una modifica che, senza violare lo spirito della Costituzione, rendesse valido il referendum qualora i voti validi espressi per una delle due opzioni - il sì, o il no - superasse il 25% degli aventi diritto. Questo vorrebbe dire che per sconfiggere la scelta fatta da chi ha effettivamente votato, sarebbe stato necessario il voto valido di un altro 25% e più. In altre parole, avrebbe dovuto votare molto di più del cinquanta per cento richiesto ora dalla Costituzione, tanto più che si parla di voti validi, che sono sempre parecchio inferiori al numero dei votanti, sia a causa di errori materiali dei votanti, sia per le schede bianche e per quelle volontariamente annullate.
Ma per intanto bisogna che si rechino alle urne, come si diceva, la metà più uno degli elettori italiani.
Una volta vinto il referendum, sarebbe immediatamente ristabilita la possibilità di mantenere l'acqua pubblica, e ne sarebbe di fatto impedita la privatizzazione; ma, trattandosi di refendum abrogativo, la normativa risultata avrebbe bisogno comunque di un completamento e di una razionalizzazione. A questo punto entrerebbe in azione la seconda parte del percorso dosegnato dal forum italiano dell'acqua. Si tratterebbe di metter in campo una enorme pressione popolare - ma noi diremmo ANCHE POLITICA - per spingere il parlamento a mettere all'ordine del giorno ed aprrovare la proposta di legge di inziativa popolare sull'acqua, già depositata in Parlamento e corredata di 400.000 firme (invece delle 50.000 richieste dalla Costituzione per le proposte di legge popolari). Solo così la battaglia sarebbe veramente vinta.
Il testo della proposta di legge popolare si trova qui.
Difatti con le ultime leggi emanate, diventa obbligatorio per tutti la cessione ai privati dell'acqua, come di tutti i servizi (rifiuti, elettricità, metano, etc.), mentre Di Pietro chiede che ritorni in vigore la possibilità di scelta tra tre modalità: a) privatizzazione secca; b) società miste pubblico-privato, con funzionamento comunque privatistico-capitalistico; c) gestione pubblica - cosiddetta "in house" - a certe condizioni.
Rifondazione Comunista di Brescia è da sempre attivamente presente nel Comitato Bresciano Acqua, che da anni si riunisce di solito nella sede del MIR di via Milano, e sta impegnando direttamente le sue strutture a supporto di tutta l'attività di sindacati, associazioni, gruppi, partiti che stanno raccogliendo firme in tutta la provincia. In particolare la nostra sede di via Cassala 34 è uno dei due centri di distribuzione dei moduli e di futura raccolta, controllo e completamento burocratico degli stessi (l'altro è la CGIL). Finora nella nostra sede sono stati distribuiti circa 430 moduli - corrispondenti potenzialmente a circa 17.200 firme se completati senza errori -, ai più diversi soggetti: Cobas, Sdl, Acli, comitati locali, partiti, oltre che naturalmente ai nostri compagni nelle zone.
La raccolta firme segue le regole valide per la sottoscrizione delle liste nelle elezioni (vedi qui), con la sostanziale differenza che per i referendum i moduli di raccolta devono essere vidimati dal tribunale PRIMA della raccolta della firme. Senza la vidimazione preventiva sul modulo ancora in bianco, le firme raccolte sono TUTTE NULLE.
- Il soggetto promotore a livello nazionale è il FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA (vedi qui l'elenco degli aderenti tratto dal sito ufficiale del forum).
- Il primo dei nostri quesiti si intitola "Contro la privatizzazione del servizio idrico integrato" ed il modulo di raccolta firme è color blu. Vedi qui il testo del quesito.
- Il secondo dei nostri quesiti si intitola "Contro l'affidamento a società di capitali del servizio idrico integrato" ed il modulo di raccolta firme è color verde. Vedi qui il testo del quesito.
- Il terzo dei nostri quesiti si intitola "Contro il profitto nella gestione del servizio idrico integrato" ed il modulo di raccolta firme è color rosso. Vedi qui il testo del quesito.
Se ti interessa puoi trovare il testo del quesito di Di Pietro qui.
Una chiarificazine delle differenze tra il nostro referendum e quello di Di Pietro la puoi trovare qui.
Tuttavia nel complesso percorso elaborato dal Forum italiano per l'acqua pubblica il referendum è solo il primo passo. Innanzitutto bisognerà vedere se i referendum saranno ammessi dalla Corte Costutuzionale (diamo per scontato che l'obiettivo delle firme sarà non solo superato, ma letteralmente sommerso).
A questo proposito si può leggere qui la relazione tecnico-giuridica di sostegno ai nostri tre referendum elaborata da un gruppo di giuristi di chiara fama.
Una volta ammessi i referendum, ci sarà lo scoglio più difficile, quello del quorum di votanti, che deve essere, in base alla formulazione esplicita della Costituzione la metà più uno degli aventi diritto. Sarebbe necessario rivedere tale norma, visto che tutti abbiam scoperto il trucco di far fallire il referendum del "nemico" non andando a votare. Solo che in questo modo il referendum, che con tutti suoi difetti e pericoli è l'unico strumento di espressioe diretta della volontà popolare, è stato vanificato. Sarebbe necessaria una modifica che, senza violare lo spirito della Costituzione, rendesse valido il referendum qualora i voti validi espressi per una delle due opzioni - il sì, o il no - superasse il 25% degli aventi diritto. Questo vorrebbe dire che per sconfiggere la scelta fatta da chi ha effettivamente votato, sarebbe stato necessario il voto valido di un altro 25% e più. In altre parole, avrebbe dovuto votare molto di più del cinquanta per cento richiesto ora dalla Costituzione, tanto più che si parla di voti validi, che sono sempre parecchio inferiori al numero dei votanti, sia a causa di errori materiali dei votanti, sia per le schede bianche e per quelle volontariamente annullate.
Ma per intanto bisogna che si rechino alle urne, come si diceva, la metà più uno degli elettori italiani.
Una volta vinto il referendum, sarebbe immediatamente ristabilita la possibilità di mantenere l'acqua pubblica, e ne sarebbe di fatto impedita la privatizzazione; ma, trattandosi di refendum abrogativo, la normativa risultata avrebbe bisogno comunque di un completamento e di una razionalizzazione. A questo punto entrerebbe in azione la seconda parte del percorso dosegnato dal forum italiano dell'acqua. Si tratterebbe di metter in campo una enorme pressione popolare - ma noi diremmo ANCHE POLITICA - per spingere il parlamento a mettere all'ordine del giorno ed aprrovare la proposta di legge di inziativa popolare sull'acqua, già depositata in Parlamento e corredata di 400.000 firme (invece delle 50.000 richieste dalla Costituzione per le proposte di legge popolari). Solo così la battaglia sarebbe veramente vinta.
Il testo della proposta di legge popolare si trova qui.
domenica 16 maggio 2010
Per contrastare la propaganda filonucleare del Governo e dell'Enel vi segnalo questo sito da dove potete scaricare un ottimo opuscolo di controinformazione.
mercoledì 12 maggio 2010
lunedì 10 maggio 2010
Attenzione, APPROVATO IERI: articolo 50-bis/Repressione di attività di apologia o istigazione... COMPIUTA A MEZZO INTERNET
Ieri il Senato ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (D.d..L. 733) tra gli altri con un emendamento del senatore Gianpiero D'Alia (UDC) identificato dall'articolo 50-bis: "Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet";
la prossima settimana Il testo approderà alla Camera come articolo nr. 60.Questo senatore NON fa neanche parte della maggioranza al Governo... il che la dice lunga sulle alleanze trasversali del disegno liberticida della Casta.In pratica in base a questo emendamento se un qualunque cittadino dovesse invitare attraverso un blog (o un profilo su fb, o altro sulla rete) a disobbedire o a ISTIGARE (cioè.. CRITICARE..??!) contro una legge che ritiene ingiusta, i providers DOVRANNO bloccarne il blog o il sito.Questo provvedimento può far oscurare la visibilità di un sito in Italia ovunque si trovi, anche se è all'ESTERO; basta che il Ministro dell'Interno disponga con proprio decreto l'interruzione dell'attività del blogger, ordinandone il blocco ai fornitori di connettività alla rete internet. L'attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro 24 ore; pena, per i provider, sanzioni da 50.000 a 250.000 euro.
Per i blogger è invece previsto il carcere da 1 a 5 anni oltre ad una pena ulteriore da 6 mesi a 5 anni perl'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all'ODIO (!) fra le classi sociali.MORALE: questa legge può ripulire immediatamente tutti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la Casta.In pratica sarà possibile bloccare in Italia (come in Iran, in Birmania e in Cina) Facebook, Youtube e la rete da tutti i blog che al momento rappresentano in Italia l'unica informazione non condizionata e/o censurata.ITALIA: l'unico Paese al mondo in cui una media company (Mediaset) ha citato YouTube per danni chiedendo 500 milioni euro di risarcimento.Con questa legge non sarà più necessario, nulla sarà più di ostacolo anche in termini PREVENTIVI.Dopo la proposta di legge Cassinelli e l'istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che tra meno di 60 giorni dovrà presenterà al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al "pacchetto sicurezza" di fatto rende esplicito il progetto del Governo di "normalizzare" con leggi di repressione internet e tutto il sistema di relazioni e informazioni che finora non riusciva a dominare.Mentre negli USA Obama ha vinto le elezioni grazie ad internet, l'Italia prende a modello la Cina, la Birmania e l'Iran.Oggi gli UNICI media che hanno fatto rimbalzare questa notizia sono stati la rivista specializzata "Punto Informatico" e il blog di Grillo.
Fatela girare il più possibile per cercare di svegliare le coscienze addormentate degli italiani perché dove non c'è libera informazione e diritto di critica la "democrazia" è un concetto VUOTO.
documentazione diffusa daCoordinamento degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani
da facebook/Newsphera Magazine
mercoledì 5 maggio 2010
mercoledì 5 maggio 2010
L'ATTUALITA' DI BERLINGUER E DELLA QUESTIONE MORALE
Ogni giorno un parlamentare e ultimamente anche i ministri si trovano inquisiti in qualche indagine della magistratura. La politica ormai è piena zeppa di farabutti. Guarda caso la maggior parte dei delinquenti si trovano seduti tra i banchi del governo. Intuire il perchè è facile: per loro la politica non è il bene della gente, ma gestire e favorire i propri interessi. E' per questo che torna sempre più forte la questione morale sollevata da Berlinguer negli anni 80. Vi volevo proporre un'intervista del grande segretario del PCI a La Repubblica del 28 luglio 1981. Leggerla crea una grande voglia di cambiamento della classe politica e ci fa capire quanto i sistemi sporchi della cosiddetta prima repubblica non siano scomparsi ma anzi siano aumentati nella seconda repubblica:
I partiti non fanno più politica. I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente. [...] Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con il bene comune. Non sono più organizzatori del popolo [...]: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss.
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali. [...] Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le operazioni che le diverse istituzioni o i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. [...] Molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto dei vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano.
I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della Nazione; ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni.
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia di oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati...
[...] Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora, ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire... Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
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