lunedì 14 febbraio 2011

Se non ora quando, una marea di un milione di donne (e uomini)

DA RASSEGNA.IT

"Mi è sembrato un pretesto per sostenere il teorema giudiziario che non ha nessun riscontro nella realtà: una mobilitazione di parte, faziosa, contro la mia persona da parte di una sinistra che cavalca qualsiasi mezzo per abbattermi". Va giù duro il premier Silvio Berlusconi, che si fa chiamare in diretta dal suo dipendente Maurizio Belpietro per sparare, in diretta su Canale5, tutta la sua bile all'indomani delle manifestazioni per la dignità delle donne. "È una "vergogna - ha detto - tutte le donne che hanno avuto modo di conoscermi - ha aggiunto - sanno con quanta considerazione e rispetto io mi rapporto con loro".

Curiosamente, la medesima parola, "vergogna", è usata anche da Financial Times, destinata proprio al Cavaliere. "L'Italia ha molti ottimi funzionari pubblici e statisti, escluso Berlusconi". Il il quotidiano britannico chiarisce il suo pensiero con un titolo eloquente (e in italiano): "Arrivederci, Silvio". Infatti, dice il Financial, "sarebbe meglio per l'Italia e per l'Unione Europea" se il momento della fine dell'avventura politica di Berlusconi "venisse prima piuttosto che dopo". Il suo rifiuto di "fare la cosa giusta, cioè dimettersi, è soltanto vergognoso".

Ha effetti ha superato le più rosee aspettative la mobilitazione nata intorno all'appello "Se non ora quando", che in pochi giorni e con il fondamentale ausilio di Internet ha scatenato, con un effetto-valanga, manifestazioni in 230 città in Italia e una trentina all'estero. Una marea di più di un milione di persone "indignate" è scesa in piazza, in Italia e nel mondo, per dire basta a una cultura che nega la dignità delle donne e per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi. Roma, Milano, Torino, Napoli e così via, fino all'altra parte del globo. (continua su rassegna.it)

la giornata del 13 febbraio

di seguito il resconto di Bresciaoggi sulla manifestazione a Brescia

«Basta, basta basta»: questo il grido che più volte si alza in una piazza Rovetta gremita. Sono donne e uomini, giovani e meno giovani, in centinaia le persone scese in piazza ieri anche a Brescia. «Protestiamo perché la misura è colma - spiega al microfono Anna Zinelli, di Rifondazione Comunista - anche se questo è solo l'ultimo passaggio di un attacco al corpo e ai diritti delle donne, attacco che è iniziato da anni, con la messa in discussione della legge 194, con la graduale chiusura dei consultori. Il problema non è Berlusconi, il problema è un tipo di cultura, legato principalmente alle sue televisioni, che è dilagato in tutto il Paese». Un punto di vista condiviso da Silvia Forcella, giovane lavoratrice bresciana: «Non è questione di moralismo contro i festini privati: il fatto è che Berlusconi è il capo del governo e dovrebbe rappresentarci, ma io non mi sento certo rappresentata da lui. Sono in piazza perché la vita pubblica è un momento importante, ma vorrei ricordare che le lotte per i diritti e la dignità non sono certo iniziate ora».
Anche Nadia Busato, la scrittrice Nadiolinda, è in piazza, non contro Berlusconi ma «contro un sistema di buoni valori che viene messo in discussione da una classe dirigente maschilista che ha visibilmente fallito e che se ne deve andare». La necessità del cambiamento è sentita anche da Silvia, di origini nigeriane: «Non c'è più dignità per le donne, bisogna cambiare, voglio che mia figlia, oggi nel passeggino, abbia più opportunità di quelle che hanno oggi le ragazze».

CON LE DONNE bresciane quindi anche alcune nuove cittadine, seppur in numero inferiore rispetto ai loro uomini: «Le tematiche portate in piazza oggi sono un lusso per le donne non italiane - spiega Fuad, algerino, in Italia da oltre 18 anni - perché loro hanno problemi più materiali. Ma con il tempo le cose cambieranno». Fuad è uno dei tanti uomini presenti in piazza, così come sabato erano numerosi in corso Zanardelli. «Sarebbe stato meglio essere in piazza Loggia - osserva polemicamente, alludendo ai divieti arrivati dalle autorità, Davide Puppa, trentenne bresciano «gay - precisa, scrivilo senza problemi - deve essere la gente a sollevarsi, quella che non arriva alla fine del mese».
Al futuro pensa anche Stefano, studente ventiduenne, che al collo porta un cartello con la scritta: «Mio nonno va alla bocciofila», uno slogan rimbalzato ieri in tante piazze italiane. Perché questa scritta? «Perché è indecoroso che Berlusconi abbia certi atteggiamenti indecenti, lui che si erge a difensore della famiglia e dei valori cristiani. Altro che alle feste, dovrebbe andare a giocare a bocce! Dovrebbe rendersi conto che è ridicolo che tutto il Paese sappia la sua vita privata!». Il dovere di esserci è ciò che ha portato in piazza Nicola Fiorin, vicesindaco di Bovezzo, che si rammarica di non vedere tanti politici del suo partito, il Pd, perché «questa è una battaglia che prescinde della insegne politiche, è per la civiltà, e le istituzioni dovrebbero essere in prima fila, per un mondo che non abbia come unico valore il potere». In realtà le organizzatrici hanno più volte ripetuto che non volevano simboli di partito, che hanno deciso di essere in piazza «con il coraggio di andare senza bandiere - precisa Donatella Albini, consigliera comunale per la Sinistra Arcobaleno ma in piazza in quanto donna - per la dignità di chi abita questo paese e che si riconosce in modelli positivi, ben diversi da quelli del capo del governo, in senile delirio di impotenza». Modelli che però «per l'Italia paiono ancora lontani, soprattutto per chi ci osserva dall'estero e che fa coincidere il nostro Paese con il nostro governo - valuta Giorgio Momi, architetto che da due anni lavora in Romania - . Gli italiani che ho conosciuto in Romania incarnano tutti il modello berlusconiano, quindi in quel Paese pensano che l'Italia sia così...». Irene Panighetti

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