« Hasta la victoria siempre. Patria o muerte. »
Il 9 ottobre 1967 Ernesto “Che” Guevara veniva assassinato in Bolivia, nel villaggio di La Higuera. Nonostante la sua tragica scomparsa, il “Che” ha guadagnato l’immortalità incatenando intere generazioni al sogno di costruire un mondo migliore. Oggi, con l’Occidente che si trova di fronte a una crisi di valori senza precedenti, ci sarebbe ancora bisogno di lui, e il suo insegnamento continua a mostrare una luce in fondo al tunnel. Ernesto “Che” Guevara, medico e rivoluzionario, è uno di quei personaggi straordinari che, per per merito personale più che per accidente, accedono all’immortalità. A distanza di oltre quarant’anni dalla sua morte infatti, tutti nel mondo continuano a tenere vivo il ricordo del “Che”, un uomo che con la sua lucida follia rivoluzionaria è riuscito laddove generali, eserciti, partiti e politici hanno fallito. Dotato di una curiosità indomita, Ernesto Guevara rappresenta il rivoluzionario per antonomasia, colui che dopo aver saziato la propria sete di conoscenza decide di mettere in gioco tutto, soprattutto se stesso, per ottenere un fine più grande, cui avrebbe poi dedicato l’intero corso della sua vita. Ernesto Guevara soffriva d’asma, una malattia che però non gli avrebbe impedito di strisciare nella Sierra Maestra accanto a Fidel Castro quando nel 1959 fecero trionfare insieme la Rivoluzione a Cuba. Il “Che” era argentino ma si sentiva legato con il cuore e l’anima a tutto il Sudamerica, continente eternamente oppresso da un vicino ingombrante, gli Stati Uniti. Ernesto però non si sentiva un fratello solamente di tutti i sudamericani, ma di tutti gli oppressi in senso lato, e questo suo grande cuore lo avrebbe portato a prendere il fucile anche in Congo, nell’Africa Nera, per combattere quell’imperialismo contro cui ha combattuto per tutto il corso della sua breve ma indomita vita. Poeta, era un grande appassionato di Pablo Neruda, medico, sportivo e rivoluzionario, il “Che” è stato un personaggio a tutto tondo, cresciuto con i libri di Verne, Salgari e London, appassionato di fotografia e motociclette.
Fu proprio a bordo di una motocicletta vecchia e scassata che il Che decise di intraprendere, ancora ragazzo, un viaggio per il Sudamerica assieme al suo vecchio amico, Alberto Granado. Di quei momenti fantastici Ernesto Guevara ci ha lasciato alcuni diari che ancora oggi ci possono sorprendere per la loro fantastica genuinità e per la loro immediatezza. Quando, spensierato, girava in lungo e in largo per il Sudamerica al fine di soddisfare la sua brama di curiosità, tra le righe di suoi ricordi si riesce quasi a toccare con mano la sua voglia di combattere contro le ingiustizie, il suo sentimento di non rassegnarsi alla realtà che ci circonda passivamente. Influenzato dal marxismo, il Che utilizzò i suoi viaggi in motocicletta per comprendere, per conoscere la miseria, la fame, l’oppressione di un continente che amava in modo viscerale, al punto da vederlo non come una somma di diverse nazioni, ma come un’unica realtà. Fu per questo motivo che dopo essersi laureato nel 1953 continuò a viaggiare, questa volta in Perù, Ecuador, Panama, Costa Rica e Guatemala. Fu questa la premessa alla sua grande avventura, quella che affrontò assieme ai fratelli Castro e a Camilo Cienfuegos, un’avventura cominciata una notte a Città del Messico quando, incontrato Fidel Castro, capì che avrebbe dovuto legare il suo destino a quello del rivoluzionario cubano. Inutile ricordare cosa i due sarebbero riusciti a fare, a Cuba, quando sbarcarono con il Granma il 2 dicembre del 1956, rimanendo in 12 dopo essere stati falciati dalle mitragliatrici di Batista.
Nel 1959 Ernesto “Che” Guevara il 2 gennaio entrò a L’Avana diventando un vero e proprio eroe della Rivoluzione e guadagnandosi fama imperitura. Ma la sua carriera da rivoluzionario non finì a Cuba. Il “Che” amava troppo la libertà e sentiva dentro di sè un fuoco troppo ardente per lasciarsi alle spalle la lotta e godersi la meritata pace. Anche per questo motivo decise di lasciare Cuba, che tanto lo amava, e andare a combattere altrove per la Rivoluzione. Alla fine morì in Bolivia, dopo aver combattuto anche in Africa, e la sua morte rappresentò una fitta al cuore per milioni di persone in tutto il mondo. Si narra che il “Che” non avesse paura di morire, consapevole che anche la sua morte forse sarebbe servita a rendere immortale il suo pensiero, e così è stato. Oggi, con l’occidente che è alle prese con una delle crisi più problematiche della sua storia, ci sarebbe ancora tanto bisogno del Che e della sua carica rivoluzionaria. Di lui resta l’eterno ricordo, restano le frasi capaci di ispirare e di indicare sempre una strada, anche nelle situazioni più disperate. Ernesto “Che” Guevara era un duro, un duro che non perse mai la tenerezza e fu sempre capace di salutare la vita con un sorriso. Di fronte a lui non siamo che nani sulle spalle di giganti.
PDCI - Daniele Cardetta
Fu proprio a bordo di una motocicletta vecchia e scassata che il Che decise di intraprendere, ancora ragazzo, un viaggio per il Sudamerica assieme al suo vecchio amico, Alberto Granado. Di quei momenti fantastici Ernesto Guevara ci ha lasciato alcuni diari che ancora oggi ci possono sorprendere per la loro fantastica genuinità e per la loro immediatezza. Quando, spensierato, girava in lungo e in largo per il Sudamerica al fine di soddisfare la sua brama di curiosità, tra le righe di suoi ricordi si riesce quasi a toccare con mano la sua voglia di combattere contro le ingiustizie, il suo sentimento di non rassegnarsi alla realtà che ci circonda passivamente. Influenzato dal marxismo, il Che utilizzò i suoi viaggi in motocicletta per comprendere, per conoscere la miseria, la fame, l’oppressione di un continente che amava in modo viscerale, al punto da vederlo non come una somma di diverse nazioni, ma come un’unica realtà. Fu per questo motivo che dopo essersi laureato nel 1953 continuò a viaggiare, questa volta in Perù, Ecuador, Panama, Costa Rica e Guatemala. Fu questa la premessa alla sua grande avventura, quella che affrontò assieme ai fratelli Castro e a Camilo Cienfuegos, un’avventura cominciata una notte a Città del Messico quando, incontrato Fidel Castro, capì che avrebbe dovuto legare il suo destino a quello del rivoluzionario cubano. Inutile ricordare cosa i due sarebbero riusciti a fare, a Cuba, quando sbarcarono con il Granma il 2 dicembre del 1956, rimanendo in 12 dopo essere stati falciati dalle mitragliatrici di Batista.
Nel 1959 Ernesto “Che” Guevara il 2 gennaio entrò a L’Avana diventando un vero e proprio eroe della Rivoluzione e guadagnandosi fama imperitura. Ma la sua carriera da rivoluzionario non finì a Cuba. Il “Che” amava troppo la libertà e sentiva dentro di sè un fuoco troppo ardente per lasciarsi alle spalle la lotta e godersi la meritata pace. Anche per questo motivo decise di lasciare Cuba, che tanto lo amava, e andare a combattere altrove per la Rivoluzione. Alla fine morì in Bolivia, dopo aver combattuto anche in Africa, e la sua morte rappresentò una fitta al cuore per milioni di persone in tutto il mondo. Si narra che il “Che” non avesse paura di morire, consapevole che anche la sua morte forse sarebbe servita a rendere immortale il suo pensiero, e così è stato. Oggi, con l’occidente che è alle prese con una delle crisi più problematiche della sua storia, ci sarebbe ancora tanto bisogno del Che e della sua carica rivoluzionaria. Di lui resta l’eterno ricordo, restano le frasi capaci di ispirare e di indicare sempre una strada, anche nelle situazioni più disperate. Ernesto “Che” Guevara era un duro, un duro che non perse mai la tenerezza e fu sempre capace di salutare la vita con un sorriso. Di fronte a lui non siamo che nani sulle spalle di giganti.
PDCI - Daniele Cardetta
Nessun commento:
Posta un commento