Non ci interessa la ricchezza, ciò che vogliamo è allevare bene i nostri figli. La ricchezza non è di nessuna utilità e non si può portarla con noi una volta morti. Noi non vogliamo ricchezze. Vogliamo amore e pace. (Nuvola Rossa Guerriero Oglala dei Sioux Tetones) Questo Blog vuole essere un punto di incontro per chi crede ancora che"Un altro mondo è possibile",a chi crede ancora negli ideali,a chi crede che oggi ci sia bisogno di una "Resistenza attiva"
venerdì 29 giugno 2012
I segreti della casta: Peggio della Fornero? Marchionne! "Il diritto al l...
I segreti della casta: Peggio della Fornero? Marchionne! "Il diritto al l...: "Questa legge non esiste in nessuna parte del mondo, da quanto ne so. Focalizzare l'attenzione su questioni locali ignorando il resto è a...
giovedì 28 giugno 2012
GIORGIO CREMASCHI – La Costituzione esce dalle fabbriche
Il 20 maggio 1970 veniva approvato lo statuto dei lavoratori. Allora si disse, usando una frase di Di Vittorio, che la Costituzione varcava finalmente i cancelli dei luoghi di lavoro. Oggi ne esce, con la controriforma del lavoro suggellata dalle dichiarazioni tecnicamente reazionarie della ministra Fornero. Il lavoro non ha più diritti e non è più un diritto, può solo essere il premio di chi vince la competizione selvaggia nel mercato e nella vita.
Di fronte a questa drammatica sconfitta sento prima di tutto il bisogno di scusarmi per la parte che ho in essa. Tempo fa avevo scritto e detto che di fronte all’ attacco all’articolo 18 avremmo fatto le barricate. Pensavo ancora alla Cgil guidata da Cofferati dieci anni fa e alle rivolte dei sindacati e del popolo greco oggi. Non è stato così, mi sono sbagliato sono stato troppo ottimista. E ora subiamo la più dura sconfitta sindacale dal dopoguerra senza aver combattuto in maniera adeguata.
Colpa dei lavoratori impauriti e ricattati dalla disoccupazione e dalla precarietà? No, colpa dei dirigenti di quello che una volta definivamo movimento operaio ed in particolare di quelli della Cgil. Non è vero infatti che su questo tema non ci fossero spinte alla mobilitazione. È vero anzi il contrario. A primavera era cresciuto un movimento diffuso nelle fabbriche con adesioni agli scioperi anche di iscritti a Cisl e Uil. C’era stata la manifestazione Fiom del 9 marzo a Roma e quella promossa dal NoDebito a Milano. La Cgil aveva proclamato 16 ore di sciopero. Certo erano ancora avanguardie di massa quelle che si mobilitavano, ma il loro consenso era diffuso e trasversale, maggioritario nel paese.
Uno sciopero generale della portata delle lotte del 2002 era alla portata ed avrebbe aperto un fronte complessivo con il governo, mettendo in gravi difficoltà Cisl e Uil e ancor di più il partito democratico. Ed è per questo che non si è fatto. La squallida mediazione definita tra i partiti di governo si è trasferita sul progetto di legge, Cisl e Uil hanno accettato e la Cgil ha finito di opporsi. E, fatto ancor più grave, ha accettato la mediazione che cancellava l’articolo 18 facendo finta di aver vinto. A quel punto la prospettiva di una unificazione delle lotte è saltata e anche la Fiom ha drasticamente ridimensionato la propria iniziativa. Il movimento si é quindi ridotto a singole azioni di lotta, da ammirare ringraziare, ma insufficienti a pesare sul quadro politico. Tante fabbriche metalmeccaniche, prime la Same e la Piaggio han continuato eroicamente a scioperare. I sindacati di base hanno generosamente scioperato il 22 scorso. Ma non poteva bastare, tenendo conto anche del terribile regime informativo che censura ogni dissenso mentre ossessivamente grida: viva Monti, viva l’euro, viva il rigore.
La giornata del voto ha così rappresentato la sconfitta. Con poche centinaia di persone davanti Montecitorio divise a metà, e con gli organizzatori della Cgil che mettevano la musica rock ad alto volume per coprire le voci dell’assemblea spontanea che si stava svolgendo in una parte della piazza.
Sì io sento il bisogno di scusarmi per questa sconfitta e per come è maturata, anche se credo di aver fatto tutto quello di cui sono capace per impedire che le cose andassero così.
Ora abbiamo il modello Marchionne esteso a tutto il mondo del lavoro e dobbiamo ricostruire potere e forza. Non sarà facile ma ci dobbiamo provare, ancor di più noi che siamo consapevoli della portata di questa sconfitta. Senza fare sconti a chi ne è più responsabile nel sindacato, e senza dimenticare mai più la colpa di monti e del Pd che lo sostiene. Dei quali dovremo essere solo intransigenti avversari.
Giorgio Cremaschi
Di fronte a questa drammatica sconfitta sento prima di tutto il bisogno di scusarmi per la parte che ho in essa. Tempo fa avevo scritto e detto che di fronte all’ attacco all’articolo 18 avremmo fatto le barricate. Pensavo ancora alla Cgil guidata da Cofferati dieci anni fa e alle rivolte dei sindacati e del popolo greco oggi. Non è stato così, mi sono sbagliato sono stato troppo ottimista. E ora subiamo la più dura sconfitta sindacale dal dopoguerra senza aver combattuto in maniera adeguata.
Colpa dei lavoratori impauriti e ricattati dalla disoccupazione e dalla precarietà? No, colpa dei dirigenti di quello che una volta definivamo movimento operaio ed in particolare di quelli della Cgil. Non è vero infatti che su questo tema non ci fossero spinte alla mobilitazione. È vero anzi il contrario. A primavera era cresciuto un movimento diffuso nelle fabbriche con adesioni agli scioperi anche di iscritti a Cisl e Uil. C’era stata la manifestazione Fiom del 9 marzo a Roma e quella promossa dal NoDebito a Milano. La Cgil aveva proclamato 16 ore di sciopero. Certo erano ancora avanguardie di massa quelle che si mobilitavano, ma il loro consenso era diffuso e trasversale, maggioritario nel paese.
Uno sciopero generale della portata delle lotte del 2002 era alla portata ed avrebbe aperto un fronte complessivo con il governo, mettendo in gravi difficoltà Cisl e Uil e ancor di più il partito democratico. Ed è per questo che non si è fatto. La squallida mediazione definita tra i partiti di governo si è trasferita sul progetto di legge, Cisl e Uil hanno accettato e la Cgil ha finito di opporsi. E, fatto ancor più grave, ha accettato la mediazione che cancellava l’articolo 18 facendo finta di aver vinto. A quel punto la prospettiva di una unificazione delle lotte è saltata e anche la Fiom ha drasticamente ridimensionato la propria iniziativa. Il movimento si é quindi ridotto a singole azioni di lotta, da ammirare ringraziare, ma insufficienti a pesare sul quadro politico. Tante fabbriche metalmeccaniche, prime la Same e la Piaggio han continuato eroicamente a scioperare. I sindacati di base hanno generosamente scioperato il 22 scorso. Ma non poteva bastare, tenendo conto anche del terribile regime informativo che censura ogni dissenso mentre ossessivamente grida: viva Monti, viva l’euro, viva il rigore.
La giornata del voto ha così rappresentato la sconfitta. Con poche centinaia di persone davanti Montecitorio divise a metà, e con gli organizzatori della Cgil che mettevano la musica rock ad alto volume per coprire le voci dell’assemblea spontanea che si stava svolgendo in una parte della piazza.
Sì io sento il bisogno di scusarmi per questa sconfitta e per come è maturata, anche se credo di aver fatto tutto quello di cui sono capace per impedire che le cose andassero così.
Ora abbiamo il modello Marchionne esteso a tutto il mondo del lavoro e dobbiamo ricostruire potere e forza. Non sarà facile ma ci dobbiamo provare, ancor di più noi che siamo consapevoli della portata di questa sconfitta. Senza fare sconti a chi ne è più responsabile nel sindacato, e senza dimenticare mai più la colpa di monti e del Pd che lo sostiene. Dei quali dovremo essere solo intransigenti avversari.
Giorgio Cremaschi
Lavoro: Ferrero, cancellato art.18, Pd e Pdl complici governo
(ASCA) - Roma, 27 giu - ''Il ddl lavoro e' legge: la peggiore delle leggi possibili, il governo Monti e' arrivato la' dove nemmeno Berlusconi era arrivato, a cancellare l'articolo 18 e i diritti dei lavoratori. Pd e Pdl, complici del governo, hanno compiuto una vera e propria nefandezza contro i lavoratori e le lavoratrici . Noi ci faremo promotori di un referendum abrogativo della riforma sul lavoro e dell'articolo 8 della manovra estiva del governo Berlusconi perche' siamo convinti che la maggioranza del popolo italiano non e' d'accordo con la distruzione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici''. Lo dichiara in una nota Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista.
mercoledì 27 giugno 2012
AVVISO AI LETTORI DEL BLOG
COME HO AVUTO MODO DI DIRE SVARIATE VOLTE, IN QUESTO BLOG NON PUBBLICHERO' MAI COMMENTI ANONIMI.
A TUTTI GLI S.....I CHE MANDANO COMMENTI OFFENSIVI E LESIVI VERSO LA MIA PERSONA VOGLIO RICORDARE CHE SIETE FACILMENTE INDIVUDIABILI TRAMITE IP,QUINDI ONDE EVITARE SPIACEVOLI CONSEGUENZE SIETE INVITATI A MODERARE I TERMINI.
I segreti della casta: Il governo cancella il tetto per le pensioni d'oro...
I segreti della casta: Il governo cancella il tetto per le pensioni d'oro...: Mentre tagliano le pensioni minime, costringono i lavoratori ad andare in pensione oltre i 65 anni, lasciano i 360.000 esodati senza lavor...
domenica 24 giugno 2012
Pisapia ostaggio dei Cinesi
Con un bel giro di parole degno solo dei Politici Italiani, il Consiglio Comunale di Milano ha rinviato a data ancora incerta (quasi sicuramente mai) il conferimento della cittadinanza onoraria al Dalai Lama che sarà in visita a Milano nei prossimi giorni.Ha quindi vinto la Cina, che aveva minacciato di non presentarsi all'Expo nel caso fosse riconosciuta al Dalai Lama la cittadinanza onoraria.
«Non accettiamo diktat da nessuno – ha detto ieri il primo cittadino di Milano – ma dobbiamo conservare un punto di equilibrio tra il dare un segnale di rispetto e ricercare un percorso che porti ad un segnale ancora più forte».Il passo indietro fatto dalla giunta copre di vergogna Milano e L'Italia.
«Non accettiamo diktat da nessuno – ha detto ieri il primo cittadino di Milano – ma dobbiamo conservare un punto di equilibrio tra il dare un segnale di rispetto e ricercare un percorso che porti ad un segnale ancora più forte».Il passo indietro fatto dalla giunta copre di vergogna Milano e L'Italia.
Ammanco nel bilancio dell’Asilo di Cazzago
Le voci che circolavano da un pò di tempo a Cazzago ora sono realtà.Il nuovo Consiglio Direttivo della scuola dell'infanzia Liduina Salvatori di Cazzago S.M.insediatosi da poco ha appurato l'ammanco nel bilancio della scuola e ne ha messo al corrente la nuova amministrazione e i genitori dei bambini che frequentano la scuola stessa.L'ammanco riguarderebbe gli ultimi 2 anni, durante l'amministrazione di Foresti che per statuto designava il presidente della scuola
Da troppo tempo alcuni consiglieri chiedevano all'ex Sindaco Foresti un cambio della Presidenza, retta da troppo tempo dalla stessa persona.Le risposte sono sempre state negative, si è sempre cercato di giustificare l'operato del presidente anche sulla questione della nuova scuola materna.Anche questo è uno dei motivi che ha spinto alcuni Consiglieri e Assessori a fare una scelta politica diversa,mettendo in piedi in poco più di un mese la Tua Civica.
A chi ci ha attaccato in vario modo,(come Federazione della Sinistra) per non essere rimasti nella Lista Civica Obiettivo Comune, gestita anche questa da troppi anni dalla stessa persona chiediamo se le scelte politiche dettate da pochi fossero giuste.Ricostruire una Sinistra a Cazzago S.M. sarà difficile se chi ha contribuito a questa sconfitta non farà passi indietro, lasciando il campo libero a gente giovane (non necessariamente anagraficamente)aperta mentalmente e senza scheletri da nascondere negli armadi.
venerdì 22 giugno 2012
RITIRATO LO SCIOPERO GENERALE
UNITE CONTRO I LAVORATORI.
CAMUSSO........CHE CAZZO DI DIRIGENTE SEI?
Mentre la CGIL medita il sindacalismo di Base porta in piazza molti lavoratori, (anche della FIOM ) o ex dirigenti come Cremaschi che putroppo rimane l'ultimo del Mohicani.
Alla manifestazione di oggi a Bergamo dura contestazione al ministro Fornero e Landini.
CAZZAGO. Un´assemblea pubblica ha tenuto a battesimo il comitato comprensoriale contro l´Alta velocità ferroviaria
Il leader del Prc Fiorenzo Bertocchi «Poca trasparenza sul progetto» L´esperto Ivan Cicconi ammonisce «In Europa cresce lo scetticismo»
Paradossi della Tav: il super treno divide invece che avvicinare le comunità dell´Ovest bresciano e della Franciacorta. I Comuni trattano benefit e modifiche al tracciato in ordine sparso edulcorando la forza contrattuale dei paesi con i promotori dell´Alta velocità ferroviaria.
Il progetto poi - considerato da più parti già obsoleto -, presenta ancora molti punti oscuri che gettano pesanti ombre sulla salvaguardia di territorio vulnerabili dal punto di vista ambientale. Sono queste le preoccupazioni sulla Tav emerse dall´assemblea pubblica promossa nei giorni scorsi a Cazzago dalla Federazione di Brescia di Rifondazione Comunista che ha tenuto a battesimo un comitato intercomunale di opposizione alla mega infrastruttura. Il segretario provinciale del Prc ha aperto i lavori con un appello: «Occorre restituire trasparenza al progetto - ha affermato Fiorenzo Bertocchi -. Si sta conducendo una trattativa Comune per Comune, con il metodo del dividi et impera. Non si vuole dare alle comunità l´opportunità di elaborare proposte comuni. A cittadini e amministratori locali le informazioni vengono date con il contagocce».
DAL DIBATTITO È EMERSO come i costi dell´opera che da Rudiano a Brescia taglierà in due il territorio in vista di un ulteriore ramo ferroviario verso Montichiari, sono raddoppiati se non triplicati. «La Tav - ha rimarcato Bertocchi - sottrae fondi per le tratte dei pendolari, dove abbiamo una riduzione del 10% dei treni e di contro un aumento dei costi dei biglietti. Si sono sperperati soldi pubblici quando si potevano potenziare le linee esistenti e così migliorare la qualità del servizio». L´assemblea ha posto poi l´accento sul rapporto costi-benefici della Tav. «Si tratta di un´opera sostanzialmente inutile - ha spiegato Bertocchi -: quelle risorse avrebbero dato una boccata d´ossigeno al Welfare. Senza contare che super treno trascinerà con se altri fattori problematici come cave di prestito e infrastrutture». Ivan Cicconi, autore del libro denuncia sul flop della Tav «Travolti dall´alta voracità», è entrato nel merito tecnico dell´opera. «Il contratto per questa tratta fu firmato nel 1992 fa tra Tav spa e Cepav 2. In 20 anni, senza riceve alcun beneficio in cambio - ha sostenuto il tecnico - abbiamo già speso 6 miliardi di euro. Per contratto il costo a chilometro di linea ferroviaria era di 8 milioni di euro; al 31 dicembre 2011 il costo reale ogni mille metri di ferrovia è di 50 milioni di euro». Ci sono poi presunti ostacoli infrastrutturali. «Le nostre linee storiche - ha spiegato Cicconi -, non sono adatte per questo tipo di treni, quindi si è costruita una nuova tratta che però non può nemmeno trasportare le merci per una diversa elettrificazione dei treni. Non è vero poi che l´Europa ci impone l´opera, prova ne è il rifiuto del Portogallo di costruire l´alta velocità da Lisbona a Madrid per la mancanza di fondi. In Francia poi non è ancora stata approvata la Tav».
Fausto Scolari dal Bresciaoggi del 22,giugno 2012
giovedì 21 giugno 2012
CONTRO LA DESTRA...PD COMPRESO
C'è chi fa e chi distrugge. Il tribunale di Roma ha finalmente riconosciuto la vergognosa discriminazione in atto a Pomigliano contro i lavoratori iscritti alla FIOM. 145 iscritti al sindacato dovranno rientrare al lavoro, 19 di essi avranno anche un risarcimento. E' il riconoscimento formale che i comportamenti della FIAT e di Marchionne sono fuori dalla Costituzione e dai diritti fondamentali della persona. Ora è necessario che i carabinieri vadano dall'amministratore delegato della FIAT per imporgli di rispettare la sentenza, altrimenti, come già avvenuto a Melfi, non lo farà. (...)
Mentre un tribunale afferma diritti fondamentali dei lavoratori c'è chi si appresta a distruggerli. Il governo e il PD, il centro e il PDL hanno concordato di approvare la controriforma del lavoro entro il 27 giugno. In modo che Monti possa portare lo scalpo dell'articolo 18 al vertice europeo. Questa decisione e un'autentica infamia, che si dovrà ritorcere su tutti coloro che ne sono responsabili.
La controriforma Fornero mantiene ed affina 47 modi per assumere con contratti precari e ad essi aggiunge altrettanti modi per licenziare impunemente. Come ha detto Monti alla Confindustria, che chiede di approvare la legge pur giudicandola una boiata, le imprese se la sono sognata per decenni una riforma così.
La sentenza del tribunale di Roma mostra che i diritti si possono ancora difendere, anche se costa moltissimo. Gli eroici iscritti della FIOM di Pomigliano hanno avuto una primo atto di giustizia, mentre la maggioranza di destra, PD compreso, che ci governa si prepara a commettere una colossale ingiustizia nei confronti di tutti.
Di fronte a tutto questo possiamo solo dire che l'esempio della resistenza di Pomigliano ci dà e ci darà forza per continuare.
Contro Marchionne, Monti, Bersani, Casini e Berlusconi. Essi sono uniti contro di
noi, noi dobbiamo unirci contro di loro.
Giorgio Cremaschi rete 28 aprile.
mercoledì 20 giugno 2012
RIFONDAZIONE COMUNISTA "28 MAGGIO" ROVATO: Bisogna costruire Syriza anche in Italia!
RIFONDAZIONE COMUNISTA "28 MAGGIO" ROVATO: Bisogna costruire Syriza anche in Italia!: Il risultato delle elezioni greche segna una vera novità nella situazione europea. Per la prima volta una forza di sinistra contro le po...
IN CGIL......SIAMO ALLA FRUTTA
La Cgil disdice lo sciopero generale proclamato in difesa dell'articolo 18 e contro la controriforma del lavoro. La minoranza abbandona la sala. L'USB e i sindacati di base confermano la mobilitazione generale del 22 giugno.
La Cgil cancella lo sciopero generale in formato mini inizialmente dichiarato in difesa dell'art. 18 e contro la cosiddetta «riforma» del mercato del lavoro, attualmente in votazione al parlamento.
Il Direttivo Nazionale si è riunito ieri, senza la presenza di Susanna Camusso, per motivi di salute. La relazione introduttiva è stata tenuta da Vincenzo Scudiere, dove la mobilitazione in corso da alcune settimane viene di fatto annullata. Si dovrà infatti «lavorare per una mobilitazione in ottobre insieme a Cisl e Uil. Di fatto, ha contestato Gianni Rinaldini, coordinatore dell'area «La Cgil che vogliamo», «si tratta di un via libera alla riforma, che passa senza che la Cgil nel suo insieme abbia messo in pratica una politica di contrasto». Un'arrendevolezza già dimostrata in occasione della «riforma delle pensioni» (per cui vennero proclamate tre ore di sciopero a fine turno) e che riguarda «due temi che gli assi portanti dell'assetto del mondo del lavoro». Nell'annunciare l'uscita dalla sala di tutta l'area - che è avvenuta alla fine del suo intervento - Rinaldini ha parlato anche di «totale subalternità alla politica e agli equilibri tra i partiti che sostengono il governo». Quanto al significato politico, c'è soltanto un'evidenza da constatare: «mentre il governo annuncia la richiesta del voto di fiducia sul decreto, la Cgil disdice lo sciopero generale proclamato per contrastarlo».
Il Direttivo Nazionale si è riunito ieri, senza la presenza di Susanna Camusso, per motivi di salute. La relazione introduttiva è stata tenuta da Vincenzo Scudiere, dove la mobilitazione in corso da alcune settimane viene di fatto annullata. Si dovrà infatti «lavorare per una mobilitazione in ottobre insieme a Cisl e Uil. Di fatto, ha contestato Gianni Rinaldini, coordinatore dell'area «La Cgil che vogliamo», «si tratta di un via libera alla riforma, che passa senza che la Cgil nel suo insieme abbia messo in pratica una politica di contrasto». Un'arrendevolezza già dimostrata in occasione della «riforma delle pensioni» (per cui vennero proclamate tre ore di sciopero a fine turno) e che riguarda «due temi che gli assi portanti dell'assetto del mondo del lavoro». Nell'annunciare l'uscita dalla sala di tutta l'area - che è avvenuta alla fine del suo intervento - Rinaldini ha parlato anche di «totale subalternità alla politica e agli equilibri tra i partiti che sostengono il governo». Quanto al significato politico, c'è soltanto un'evidenza da constatare: «mentre il governo annuncia la richiesta del voto di fiducia sul decreto, la Cgil disdice lo sciopero generale proclamato per contrastarlo».
Breve ma caustica la presa di posizione di Giorgio Cremaschi: "La Cgil revoca formalmente lo sciopero generale mentre il governo accelera la controriforma del lavoro, è un atto di resa e di inutilità di un gruppo dirigente totalmente invischiato con Pd e governo".
Durissima la presa di posizione da parte dei sindacati di base, in particolare da parte dell'Unione Sindacale di Base. Scrive in una nota Fabrizio Tomaselli, dell'esecutivo nazionale:"La Cgil revoca le ulteriori otto ore di sciopero generale che aveva precedentemente deciso, senza indicarne la data. Così cade qualsiasi ulteriore alibi e strumentale ipocrisia: la Cgil non si oppone alla Controriforma del lavoro e decide di appoggiare incondizionatamente il governo Monti. Noi no! Rimane così soltanto USB e il sindacalismo di base, indipendente e conflittuale a indicare ai lavoratori la strada dello Sciopero generale. A questo punto – continua il sindacalista - è ancora più decisivo, per chi vuole realmente opporsi alle politiche antipopolari del Governo Monti, per chi vuole dire no al ricatto del debito della BCE, della Comunità europea e delle banche, per chi vuole contrastare la Fornero e la sua controriforma, scioperare il 22 giugno e scendere in piazza a Roma e Milano".
martedì 19 giugno 2012
RIFONDAZIONE COMUNISTA "28 MAGGIO" ROVATO: Bisogna costruire Syriza anche in Italia!
RIFONDAZIONE COMUNISTA "28 MAGGIO" ROVATO: Bisogna costruire Syriza anche in Italia!: Il risultato delle elezioni greche segna una vera novità nella situazione europea. Per la prima volta una forza di sinistra contro le po...
lunedì 18 giugno 2012
MATTEO PUCCIARELLI – Dal Pasok al Pd: la sinistra che si toglie il cappello
Le elezioni greche, a prescindere dal risultato, si sono rivelate l’ennesima dimostrazione di come la cosiddetta “sinistra” nostrana (erroneamente individuata nel Pd) sia tutt’altro che alternativa al sistema dominante – quello per cui conta l’economia, poi l’economia e in terza posizione l’economia.
Nei giorni scorsi l’imbarazzato silenzio dei vertici del Pd davanti all’innegabile e travolgente avanzata di Syriza; poi il successivo sospiro di sollievo per la vittoria dei conservatori di Nuova Democrazia, con il quale i socialisti del Pasok (che tra poco vedremo esposti nei musei fossili) avevano l’accordicchio già bello e pronto. C’è davvero qualcosa che non va se un partito che si vorrebbe definire di “centrosinistra” individua in tutto ciò che sta più a sinistra di lui (che poi di questi tempi è gioco facile) il vero nemico. Un partito che, contemporaneamente, trova convergenze a livello governativo e al momento pure ideale con le destre, le stesse che con la loro filosofia tutta liberismo e finanza hanno causato l’attuale disastro e che adesso ne professano indefesse la conservazione a costo di morire.
Tra “progresso” e “moderazione”, ammesso che le due parole abbiano ancora un senso ben preciso quando le pronuncia Bersani, il Pd sceglie sempre e comunque il campo moderato. Verrebbe da dispiacersi. Oppure anche no, perché è un percorso obbligato: in tutto il mondo le sinistre che hanno smesso di esserlo stanno scomparendo, abbandonate al proprio destino dagli elettori. Succederà anche al Pd, andando avanti di questo passo.
Brutta cosa, infine, la faziosità che si legge in alcune dichiarazioni. Syriza non aveva mai detto di voler uscire dall’euro; “rinegoziare” non significa andarsene, ma far valere la propria sovranità, la propria dignità. Ieri in Grecia non ha vinto la linea «pro-euro», ma quella del vassallaggio 2.0. Giuseppe Di Vittorio aveva insegnato ai braccianti pugliesi a non togliersi il cappello quando passava il padrone. Fosse ancora vivo insegnerebbe al Pd e ai suoi colleghi del Pasok a non togliersi il cappello davanti allo strapotere della moneta.
Da:http://temi.repubblica.it/micromega-online/
Nei giorni scorsi l’imbarazzato silenzio dei vertici del Pd davanti all’innegabile e travolgente avanzata di Syriza; poi il successivo sospiro di sollievo per la vittoria dei conservatori di Nuova Democrazia, con il quale i socialisti del Pasok (che tra poco vedremo esposti nei musei fossili) avevano l’accordicchio già bello e pronto. C’è davvero qualcosa che non va se un partito che si vorrebbe definire di “centrosinistra” individua in tutto ciò che sta più a sinistra di lui (che poi di questi tempi è gioco facile) il vero nemico. Un partito che, contemporaneamente, trova convergenze a livello governativo e al momento pure ideale con le destre, le stesse che con la loro filosofia tutta liberismo e finanza hanno causato l’attuale disastro e che adesso ne professano indefesse la conservazione a costo di morire.
Tra “progresso” e “moderazione”, ammesso che le due parole abbiano ancora un senso ben preciso quando le pronuncia Bersani, il Pd sceglie sempre e comunque il campo moderato. Verrebbe da dispiacersi. Oppure anche no, perché è un percorso obbligato: in tutto il mondo le sinistre che hanno smesso di esserlo stanno scomparendo, abbandonate al proprio destino dagli elettori. Succederà anche al Pd, andando avanti di questo passo.
Brutta cosa, infine, la faziosità che si legge in alcune dichiarazioni. Syriza non aveva mai detto di voler uscire dall’euro; “rinegoziare” non significa andarsene, ma far valere la propria sovranità, la propria dignità. Ieri in Grecia non ha vinto la linea «pro-euro», ma quella del vassallaggio 2.0. Giuseppe Di Vittorio aveva insegnato ai braccianti pugliesi a non togliersi il cappello quando passava il padrone. Fosse ancora vivo insegnerebbe al Pd e ai suoi colleghi del Pasok a non togliersi il cappello davanti allo strapotere della moneta.
Da:http://temi.repubblica.it/micromega-online/
....A propostito di Fiera
Dal Bresciaoggi del 18 Giugno 2012
Come ci si aspettava la Lista Civica di Centro Sinistra ha sollevato obiezioni sulla sospensione della Fiera.
Si accorgono solo adesso i registi e gli sceneggiatori della Fiera che sarebbe stato meglio una scelta condivisa da tutti? Dov'erano quando avevo proposto di fare un referendum tra la popolazione per decidere se fosse ancora il caso di buttare soldi per una "COSA"senza senso? Lascio a chi leggerà l'articolo di fare le opportune considerazioni, a me, preme solo sottolineare che per creare un "tessuto di relazioni, mobilità sociale e partecipazione alla vita collettiva", lo si può benissimo fare durante tutto l'anno con iniziative specifiche, senza buttare 50,000 euro annui in media, per 3-4 giorni di mercato.Ancora falsità........Il comitato Fiera è stato convocato cosi come la Pro Loco.Riguardo i Consigli di Frazione chi scrive dovrebbe ricordare che: tali organi sono decaduti con la vecchia amministrazione e si dovranno aspettare le elezioni per avere nuovi membri con cui interloquire.
mercoledì 13 giugno 2012
Scelta coraggiosa del neo Ass.Rubaga e della nuova Amministrazione di Cazzago S.M.
Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di fare una scelta sulla Fiera dell'artigianato e agricoltura della Franciacorta.In questi giorni è apparso l'annuncio dello stop alla fiera sul sito del Comune,annuncio ripreso in un articolo del Bresciaoggi.Mi fà veramente piacere vedere la nuova amministrazione fare scelte, che sicuramente saranno impopolari oggi,ma daranno i loro frutti nel corso degli anni (sperando che la scelta sia definitiva).Troppe volte ho chiesto in Consiglio Comunale,nelle riunioni di Maggioranza, sin dall'inizio del mio mandato di Consigliere,di finirla di mettere in piedi un "baraccone"che secondo le mie stime(verificabili dai bilanci)sono costate all'amministrazione circa 250.000 nei 5 anni della passata amministrazione.Più volte avevo chiesto di impegnare quei soldi per creare un fondo(vero non fittizio come successo)a supporto delle famiglie in difficoltà economica per la crisi che si è abbattuta sul paese.
Non mi sono parse proposte eversive o estremiste,(come qualcuno ha etichettato il sottoscritto in più occasioni) ma erano solo scelte e politiche di Sinistra, che la nostra maggioranza non è stata in grado di promuovere.
Ora, dopo quanto successo in questi mesi antecedenti le elezioni,le cose mi appaiono più chiare.Non si potevano accogliere le richieste di un "Consigliere rompicoglioni e per di più Comunista".Come avrebbe reagito il "Ghota"del PD di Cazzago?
Noooooooooooo meglio non assecondare le Politiche di Sinistra e spostarsi più verso il Centro con un leggero sbilanciamento a Destra,fuori quindi Rifondazione Comunista e dentro UDC nella Lista Civica Obiettivo Comune.Bel risultato.........il resto ormai è storia, anzi meglio una Comica senza fine.
lunedì 11 giugno 2012
Berlinguer: un comunista
di Dino Greco
Il 28 luglio del 1981, Enrico Berlinguer rilasciava ad Eugenio Scalfari, per La Repubblica, una famosa intervista, passata alla storia come la più dura (e autorevole) denuncia del sistema corruttivo che attraversava la vita dei partiti, degenerati in comitati d'affari.
Così si esprimeva Berlinguer in un passo cruciale: “I partiti sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”.
Contro Berlinguer si scagliò a quel tempo e con veemenza Giorgio Napolitano , che riteneva la critica asprissima contro Craxi e il gruppo dirigente “impadronitosi” del Partito socialista un ostacolo alla collaborazione con quel partito e un oggettivo impedimento al primario obiettivo di scalare il potere.
Ma la “questione morale” rinviava ormai, esplicitamente, ad un tema più di fondo, relativo alla natura stessa del Pci, alla sua cultura politica, alla dimensione strategica del suo progetto politico che Napolitano e tutta la corrente “migliorista” consegnavano ormai ad una netta virata, ad una “conversione” socialdemocratica, che revocava la stessa prospettiva di una trasformazione in senso socialista della società.
Lo scontro divenne acutissimo e investì nodi per nulla riducibili ad astratte dispute scolastiche: dall'attacco alla classe operaia, al sindacato, all'indicizzazione dei salari (la scala mobile).
La distanza fra le posizioni in campo si allargava sempre di più, sino a mettere in discussione la stessa leadership di Berlinguer. Che in una riunione della Direzione del partito rese drammaticamente esplicite natura e dimensioni del dissenso, della vera rottura di faglia, che si era aperta nel partito e che porterà parte cospicua degli epigoni del Pci alquanto lontano dalla storia e dalla cultura comuniste.
In quella riunione, Berlinguer si espresse così: “Io ho capito molto bene che c'è qui una parte di voi che vuole trasformare il Pci in un partito socialdemocratico. Sappiate che io a questa cosa non ci sto e che io non sarò mai il segretario di un tale partito. Se voi volete fare una cosa del genere lo farete senza di me e contro di me”.
Poco più tardi Berlinguer morì, e ognuno sa come le cose siano andate, sino a quale punto si sia spinta l'abiura e quale approdo abbia conosciuto il Pci, nella sua impressionante metamorfosi, dopo la svolta della Bolognina, sino alla deriva liberista. Non sorprende, dunque, che Giorgio Napolitano sia oggi di questa svolta mentore e interprete e che Mario Monti, uomo della Trilateral, abbia potuto trovare in lui il più convinto sostenitore.
Contro Berlinguer si scagliò a quel tempo e con veemenza Giorgio Napolitano , che riteneva la critica asprissima contro Craxi e il gruppo dirigente “impadronitosi” del Partito socialista un ostacolo alla collaborazione con quel partito e un oggettivo impedimento al primario obiettivo di scalare il potere.
Ma la “questione morale” rinviava ormai, esplicitamente, ad un tema più di fondo, relativo alla natura stessa del Pci, alla sua cultura politica, alla dimensione strategica del suo progetto politico che Napolitano e tutta la corrente “migliorista” consegnavano ormai ad una netta virata, ad una “conversione” socialdemocratica, che revocava la stessa prospettiva di una trasformazione in senso socialista della società.
Lo scontro divenne acutissimo e investì nodi per nulla riducibili ad astratte dispute scolastiche: dall'attacco alla classe operaia, al sindacato, all'indicizzazione dei salari (la scala mobile).
La distanza fra le posizioni in campo si allargava sempre di più, sino a mettere in discussione la stessa leadership di Berlinguer. Che in una riunione della Direzione del partito rese drammaticamente esplicite natura e dimensioni del dissenso, della vera rottura di faglia, che si era aperta nel partito e che porterà parte cospicua degli epigoni del Pci alquanto lontano dalla storia e dalla cultura comuniste.
In quella riunione, Berlinguer si espresse così: “Io ho capito molto bene che c'è qui una parte di voi che vuole trasformare il Pci in un partito socialdemocratico. Sappiate che io a questa cosa non ci sto e che io non sarò mai il segretario di un tale partito. Se voi volete fare una cosa del genere lo farete senza di me e contro di me”.
Poco più tardi Berlinguer morì, e ognuno sa come le cose siano andate, sino a quale punto si sia spinta l'abiura e quale approdo abbia conosciuto il Pci, nella sua impressionante metamorfosi, dopo la svolta della Bolognina, sino alla deriva liberista. Non sorprende, dunque, che Giorgio Napolitano sia oggi di questa svolta mentore e interprete e che Mario Monti, uomo della Trilateral, abbia potuto trovare in lui il più convinto sostenitore.
mercoledì 6 giugno 2012
La tav nell'ovest bresciano
LA TAV NELL’OVEST BRESCIANO
Un progetto democratico che tiene conto delle esigenze e dei diritti alla mobilità dei cittadini e della necessità di salvaguardia – recupero del territorio o un’opera inutile costosa altamente impattante?
GIOVEDÌ 14 GIUGNO 2012 ore 20.45
TEATRO RIZZINI, Cazzago San Martino
Coordina:
ANDREA SCIOTTI – Segretaria Provinciale Prc Brescia
Partecipano:
IVAN CICCONI – Ingegnere esperto infrastrutture e lavori pubblici.
Autore del libro “Travolti dall’alta voracità”
FIORENZO BERTOCCHI – Segretario Prc Brescia
Sono invitate
Le amministrazioni di Rudiano, Chiari, Castrezzato, Cazzago San Martino, Rovato, Coccaglio, Castegnato, Ospitaletto, Travagliato e Roncadelle, Urago d'Oglio.
L’Assessore all’ambiente della Provincia di Brescia
Tutti i Comitati Ambientalisti interessati dalla tratta.
PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA
Qui sotto potete scaricare il volantino della inizitiva.
martedì 5 giugno 2012
lunedì 4 giugno 2012
Michele Barbaro dal Canada
Bell'articolo a firma di Michele Barbaro e Davide Ilarietti su Left del 26 maggio 2012.
Hanno iniziato la loro battaglia per protestare contro l’aumento delle tasse, ora lottano per il diritto alla libertà di espressione. Nella regione francofona del Canada gli studenti potrebbero persino far crollare il governo di Jean Charest Carré rouge. Un quadrato di stoffa rossa, cucito sulla camicia a scacchi. «È il simbolo della nostra protesta», spiega Charles mentre infila un cappello da cowboy, «la sfida degli studenti alla legge marziale». Intorno, centinaia di manifestanti, di “carré rouge”. Segnaletica bruciata, vetri rotti, il tanfo dei fumogeni. E gli elicotteri che ronzano tra i grattacieli. A tre mesi dall’inizio delle proteste, Montreal è un Paese dei Balocchi in pieno ’68. E il Canada sembra lontano anni luce. La chiamano le printemps érable, la «primavera degli aceri». Il più lungo sciopero studentesco nella storia del Quebec, il più partecipato e anche il più violento, martedì 22 maggio ha compiuto cento giorni. Nato come forma di protesta all’aumento delle tasse universitarie, ha visto finora oltre 250 manifestazioni e quasi 2mila studenti arrestati, 300 solo domenica scorsa.
Charles è uno di questi. Al secondo anno di psicologia, uscito (su cauzione) dopo una notte in cella, è la prova vivente che «il governo ha fatto un grave errore a mostrare i muscoli agli studenti ». E per «grave errore», Charles intende le leggi speciali approvate dal Parlamento del Quebec giovedì scorso: per porre fine alla protesta studentesca, a quella che il premier Jean Charest definisce «una situazione inaccettabile, durata troppo a lungo». Ma Charles continua a sfidare il coprifuoco, come ogni sera, da cinque settimane a questa parte. A volte anche il pomeriggio. «Cento di questi giorni», sorride. Nonostante le batoste («siamo stati caricati dalla polizia armata, sono stato ferito all’addome»). E nonostante la legge d’emergenza appena varata (Loi 78), che da qui al luglio 2013 vieta agli studenti di riunirsi in gruppi di più di 50 persone per le strade, senza autorizzazione. E impone la responsabilità legale agli organizzatori delle manifestazioni. Come Gabriel Nadeau-Dubois, portavoce del Classe, il maggiore sindacato studentesco del Quebec (con 80mila iscritti). Martedì scorso si è rifiutato di comunicare alla polizia il percorso della manifestazione per la celebrazione dei 100 giorni della protesta. «Ora, in base alla nuova legge, rischio fino a 35mila dollari (27mila euro, ndr) di multa», spiega a left, «il sindacato invece dovrà pagarne 125mila (poco meno di 100mila euro)». Dove prenderanno i soldi? «Facciamo appello alla società civile del Quebec, speriamo nelle donazioni. La gente deve capire che la nostra battaglia è per la libertà di espressione in questo Paese, non solo per le rette universitarie». Ne è convinto anche Richard Bernard, 54 anni, impiegato e “uomo qualunque” in tenuta da ginnastica e occhialini da piscina («è per evitare i gas lacrimogeni»). Lui, all’università non ci è nemmeno mai stato. Ma martedì scorso è smontato dal lavoro e si è unito agli studenti. «La protesta è anche nel mio interesse: il governo sta calpestando i diritti dell’individuo». E tra le barricate, assieme a Richard e Bernard, tra gli elicotteri che volano bassi e il fuggi fuggi che si ripete ogni sera per le vie del centro, c’è finito anche chi, magari, non avrebbe voluto. «Mi tengo lontano dai presidi come dai posti di blocco della polizia. Solo manifestazioni pacifiche», spiega Marcin, studente di filosofia, «ma sono stato fermato già diverse volte. E mi sono unito alla protesta solo da un paio di settimane». C’è chi, invece, la protesta l’ha vista nascere. Tra gli oltre 300mila studenti scesi per le strade di Montreal per la prima volta il 22 marzo scorso c’era anche Julie. Che vuole – vorrebbe – laurearsi in Scienze politiche. «Non vengo da una famiglia benestante», spiega. «Dovrò piantare gli studi e cercarmi un lavoro, con le nuove tasse». Tasse che, in base alla legge approvata a febbraio, aumenteranno del 75 per cento nel giro di 7 anni. «Protesto perché non posso fare altro. Ho già perso 3 mesi di lezioni, ma sono pronta a andare avanti tutta l’estate». E il Classe ha già annunciato proteste a oltranza per il periodo estivo. Un’ipotesi che ha mandato su tutte le furie il primo ministro Jean Charest, che ha annunciato a breve un progetto di legge per la riorganizzazione del calendario scolastico. «Le lezioni riprenderanno ad agosto, permettendo così agli studenti di completare le loro sessioni».
Ma la situazione è tutt’altro che sotto controllo. Tra lanci di pietre, molotov e metropolitane bloccate, c’è già chi chiama il Quebec la Grecia del Canada. E la crisi va ben oltre i problemi di ordine pubblico. Il partito liberale, al governo dal 2003 e da mesi in calo vertiginoso di consensi per uno scandalo-corruzione che ha investito l’esecutivo, ha avviato una politica di tagli alla spesa pubblica per ridurre la pressione fiscale – la più alta in tutto il Canada – e la dipendenza dalle altre province (che trasferiranno a Montreal «equalization payments» per 7,3 miliardi di dollari nel 2012). Ma le contestazioni dei tagli ai fondi per la formazione universitaria hanno già portato alle dimissioni, la settimana scorsa, del ministro dell’Istruzione – e vicepremier – Line Beauchamp. «La verità è che il governo ha perso qualsiasi legittimità morale», spiega a left Christian Nadeau, professore di Filosofia politica all’università di Montreal e fra i “padri spirituali” della protesta. «La scelta di imporre l’ordine con l’uso della forza non può avere altra conseguenza che l’inasprimento del conflitto». Secondo Nadeau «l’unica soluzione è di intavolare un vero dibattito pubblico, che coinvolga tutti i sindacati » perché «le cause di questa protesta sono politiche, ed è sul terreno politico che dobbiamo cercare una soluzione al problema delle tasse. Ora, il governo ha scelto di rinunciare sia al diritto che alla legittimità politica. Ricorrendo a un gesto autoritario che tradisce lo spirito stesso della nostra Costituzione».
Il ’68 del Quebec
Hanno iniziato la loro battaglia per protestare contro l’aumento delle tasse, ora lottano per il diritto alla libertà di espressione. Nella regione francofona del Canada gli studenti potrebbero persino far crollare il governo di Jean Charest Carré rouge. Un quadrato di stoffa rossa, cucito sulla camicia a scacchi. «È il simbolo della nostra protesta», spiega Charles mentre infila un cappello da cowboy, «la sfida degli studenti alla legge marziale». Intorno, centinaia di manifestanti, di “carré rouge”. Segnaletica bruciata, vetri rotti, il tanfo dei fumogeni. E gli elicotteri che ronzano tra i grattacieli. A tre mesi dall’inizio delle proteste, Montreal è un Paese dei Balocchi in pieno ’68. E il Canada sembra lontano anni luce. La chiamano le printemps érable, la «primavera degli aceri». Il più lungo sciopero studentesco nella storia del Quebec, il più partecipato e anche il più violento, martedì 22 maggio ha compiuto cento giorni. Nato come forma di protesta all’aumento delle tasse universitarie, ha visto finora oltre 250 manifestazioni e quasi 2mila studenti arrestati, 300 solo domenica scorsa.
Charles è uno di questi. Al secondo anno di psicologia, uscito (su cauzione) dopo una notte in cella, è la prova vivente che «il governo ha fatto un grave errore a mostrare i muscoli agli studenti ». E per «grave errore», Charles intende le leggi speciali approvate dal Parlamento del Quebec giovedì scorso: per porre fine alla protesta studentesca, a quella che il premier Jean Charest definisce «una situazione inaccettabile, durata troppo a lungo». Ma Charles continua a sfidare il coprifuoco, come ogni sera, da cinque settimane a questa parte. A volte anche il pomeriggio. «Cento di questi giorni», sorride. Nonostante le batoste («siamo stati caricati dalla polizia armata, sono stato ferito all’addome»). E nonostante la legge d’emergenza appena varata (Loi 78), che da qui al luglio 2013 vieta agli studenti di riunirsi in gruppi di più di 50 persone per le strade, senza autorizzazione. E impone la responsabilità legale agli organizzatori delle manifestazioni. Come Gabriel Nadeau-Dubois, portavoce del Classe, il maggiore sindacato studentesco del Quebec (con 80mila iscritti). Martedì scorso si è rifiutato di comunicare alla polizia il percorso della manifestazione per la celebrazione dei 100 giorni della protesta. «Ora, in base alla nuova legge, rischio fino a 35mila dollari (27mila euro, ndr) di multa», spiega a left, «il sindacato invece dovrà pagarne 125mila (poco meno di 100mila euro)». Dove prenderanno i soldi? «Facciamo appello alla società civile del Quebec, speriamo nelle donazioni. La gente deve capire che la nostra battaglia è per la libertà di espressione in questo Paese, non solo per le rette universitarie». Ne è convinto anche Richard Bernard, 54 anni, impiegato e “uomo qualunque” in tenuta da ginnastica e occhialini da piscina («è per evitare i gas lacrimogeni»). Lui, all’università non ci è nemmeno mai stato. Ma martedì scorso è smontato dal lavoro e si è unito agli studenti. «La protesta è anche nel mio interesse: il governo sta calpestando i diritti dell’individuo». E tra le barricate, assieme a Richard e Bernard, tra gli elicotteri che volano bassi e il fuggi fuggi che si ripete ogni sera per le vie del centro, c’è finito anche chi, magari, non avrebbe voluto. «Mi tengo lontano dai presidi come dai posti di blocco della polizia. Solo manifestazioni pacifiche», spiega Marcin, studente di filosofia, «ma sono stato fermato già diverse volte. E mi sono unito alla protesta solo da un paio di settimane». C’è chi, invece, la protesta l’ha vista nascere. Tra gli oltre 300mila studenti scesi per le strade di Montreal per la prima volta il 22 marzo scorso c’era anche Julie. Che vuole – vorrebbe – laurearsi in Scienze politiche. «Non vengo da una famiglia benestante», spiega. «Dovrò piantare gli studi e cercarmi un lavoro, con le nuove tasse». Tasse che, in base alla legge approvata a febbraio, aumenteranno del 75 per cento nel giro di 7 anni. «Protesto perché non posso fare altro. Ho già perso 3 mesi di lezioni, ma sono pronta a andare avanti tutta l’estate». E il Classe ha già annunciato proteste a oltranza per il periodo estivo. Un’ipotesi che ha mandato su tutte le furie il primo ministro Jean Charest, che ha annunciato a breve un progetto di legge per la riorganizzazione del calendario scolastico. «Le lezioni riprenderanno ad agosto, permettendo così agli studenti di completare le loro sessioni».
Ma la situazione è tutt’altro che sotto controllo. Tra lanci di pietre, molotov e metropolitane bloccate, c’è già chi chiama il Quebec la Grecia del Canada. E la crisi va ben oltre i problemi di ordine pubblico. Il partito liberale, al governo dal 2003 e da mesi in calo vertiginoso di consensi per uno scandalo-corruzione che ha investito l’esecutivo, ha avviato una politica di tagli alla spesa pubblica per ridurre la pressione fiscale – la più alta in tutto il Canada – e la dipendenza dalle altre province (che trasferiranno a Montreal «equalization payments» per 7,3 miliardi di dollari nel 2012). Ma le contestazioni dei tagli ai fondi per la formazione universitaria hanno già portato alle dimissioni, la settimana scorsa, del ministro dell’Istruzione – e vicepremier – Line Beauchamp. «La verità è che il governo ha perso qualsiasi legittimità morale», spiega a left Christian Nadeau, professore di Filosofia politica all’università di Montreal e fra i “padri spirituali” della protesta. «La scelta di imporre l’ordine con l’uso della forza non può avere altra conseguenza che l’inasprimento del conflitto». Secondo Nadeau «l’unica soluzione è di intavolare un vero dibattito pubblico, che coinvolga tutti i sindacati » perché «le cause di questa protesta sono politiche, ed è sul terreno politico che dobbiamo cercare una soluzione al problema delle tasse. Ora, il governo ha scelto di rinunciare sia al diritto che alla legittimità politica. Ricorrendo a un gesto autoritario che tradisce lo spirito stesso della nostra Costituzione».
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I segreti della casta: “Voglio che tu sappia che mi fate schifo”, lo sfog...: Giorni convulsi per i senatori Pd, travolti dalle proteste all’indomani del voto che, di fatto, cancella l’articolo 18. I militanti del P...
domenica 3 giugno 2012
FIAT IN FUGA DALL’ITALIA ! (come volevasi dimostrare)
Meno di un anno fa Fiat Group si divideva in 2 , Fiat Automotive e Fiat Industrial.
Formalmente lo “spin off” è stato all’insegna di pagare meno tasse e debiti .
Sostanzialmente è parte del disegno Marchionne-Elkan di uscire dall’Italia.
Di ieri la decisione Fiat Industrial di fondersi entro il 2012 con la controllata CNH ( macchine movimento terra e trattori) , di trasferire la sede da Torino in Olanda, di quotarsi in borsa a Wall Street (anticipo della prevedibile fusione Fiat Automotive -Chrysler nel 2013 , con sede negli Usa).
Nella lettera ai dipendenti Fiat , Marchionne rassicura “per chi lavora in stabilimento o in ufficio non cambierà nulla, se non che si aprono nuove prospettive di fronte a voi”.
Marchionne non è nuovo a queste “assicurazioni” , le stesse che aveva dato ai lavoratori di Pomigliano e Mirafiori , costretti invece a subire i tagli occupazionali, la permanente cassa integrazione e il regime da caserma.
Prima di loro era toccata ai lavoratori di Termini Imerese!In 1200 messi sul lastrico per lastrategia Fiat di fuga dall’Italia. Lavoratori abbindolati dalle sirene della ripresa dello stabilimento, da affidare alle cure dell’imprenditore-esorcista Di Risio da Isernia , che più di produrre auto è interessato ai milioni messi a disposizione dalla R.Sicilia !
Poi , a subire identica sorte gli 800 lavoratori Fiat- Irisbus di Avellino, licenziati perché “ i bus non tirano” e illusi con la speranza di investitori cinesi !
Con il governoBerlusconiche ha facilitato queste sporche operazioni del Gruppo Fiat e con il governoMonti che prosegue all’insegna di “è normale che una azienda va dove c’è il business”.
Insomma, una sorte segnata per i lavoratori che poco reagiscono a questo delitto. Conla Fiompiù preoccupata a leccarsi le ferite della rappresentanza, che a denunciare il misfatto di “ Fabbrica Italia” , il fantasioso piano di 20 MLD di investimenti in Italia, a cuila Fiomha dato credito!
Per il resto , il Gruppo Volfwagen - che nonostante la crisi aumenta fatturati e vendite, distribuendo premi di risultato e aumenti contrattuali del 5%( idem fanno i francesi Peugeot-Citroen, Renault e i giapponesi Toyota e Nissan) – fa shopping a Torino acquistando marchi auto e componentistica (idem 5 gruppi cinesi sbarcati a Torino) , mentre Fiat continua a perdere quote di mercato e mette in CIG per la prima volta tutti i 5400 impiegati del Lingotto(do you remember la marcia dei 40.000 ?)
Fiat che invece di produrre nuovi modelli in Italia, delocalizza e diversifica la sua partecipazione all’estero , con la “500 L” in produzione in Serbia ( nello stabilimento ex Zastava) e con l’annuncio dell’accordo con la giapponese Mazda per produrre gli spider con marchio Alfa e Mazda nello stabilimento di Hiroshima !
Cosa altro deve accadere per ribellarsi a siffatta tracotanza e ingiustizia ??!
Conosciamo tutti la famelicità e la crudeltà della Fiat . L’abbiamo già vista all’opera con la liquidazione dell’Alfa di Arese e i licenziamenti di massa , oltre le attuali cronache repressive.
Governi,partiti,sindacati, hanno cancellato dalle loro agende la classe operaia , la demolizione dell’art.18 e degli ammortizzatori sociali,dei contratti e della stabilità del posto di lavoro, le stragi del lavoro non ultima quella dei capannoni, stanno li a significarlo!
La rinascita dei diritti e del rispetto dipendono solo dal grado di resistenza e conflitto che saremo in grado di mettere in campo al più presto.
Da sito http://www.cobas.it/
Spese militari da record, 1.740 miliardi per le armi - ControLaCrisi.org
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venerdì 1 giugno 2012
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ART.18: ECCO PERCHE’ IL LAVORATORE NON SARA’ MAI PIU’ REINTEGRATO NEL SUO POSTO DI LAVORO
LAVORO: LA TRUFFA DEL REINTEGRO
di Bruno Tinti
di Bruno Tinti
Non avrei mai pensato di rivolgere al presidente Monti e al ministro Fornero la stessa domanda (retorica) tante volte fatta a B&C: ma ci siete o ci fate? E invece… L’art. 14 comma 7 del ddl sulla riforma del lavoro (Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo) dice: “il giudice che accerta la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (sarebbe il licenziamento per motivi economici) applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del medesimo articolo” (il reintegro ). E, poco più avanti: “nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”. Che consiste nel dichiarare “risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva” (l’indennizzo).
TUTTO RUOTA intorno a due paroline: “manifesta insussistenza”. Cosa vogliono dire? In linguaggio comune è semplice: il fatto posto alla base del licenziamento non esiste; perciò il lavoratore va reintegrato nel posto di lavoro, poche storie. Ma, per un giurista, insussistenza senza aggettivi è cosa diversa dall’insussistenza “manifesta”. Il giurista si chiede: ma perché questi hanno sentito il bisogno di scrivere che l’insussistenza deve essere “manifesta”? Un fatto o sussiste o non sussiste; quanto sia complicato accertare che esista non incide sulla sua esistenza, solo sulla difficoltà della prova.
Per capirci meglio, un assassino va condannato sia che lo si becchi con il coltello sanguinante in mano, sia che la sua responsabilità emerga dopo un complicato lavoro di indagine (movente, alibi, testimonianze etc). Dunque, pensa il giurista, questi hanno scritto “manifesta insussistenza” proprio per differenziare questi casi da quelli in cui c’è l’insussistenza semplice; e per differenziare il trattamento conseguente, reintegro nel primo caso, solo indennizzo nel secondo.
Come tecnica legislativa non è una novità. Quando, in un processo, si solleva un’eccezione di illegittimità costituzionale, il giudice la accoglie solo quando la questione non è “manifestamente infondata”. Se è sicuro che la legge è conforme alla Costituzione, respinge l’eccezione. Insomma, solo quando il giudice ha qualche dubbio sulla costituzionalità della legge (o, naturalmente, quando è sicuro che sia incostituzionale), chiede alla Corte costituzionale di valutare. Ne deriva che la Corte non riceve tutte le questioni di illegittimità costituzionale ma solo quelle che i giudici ritengono “non manifestamente” infondate. Può darsi che tra le altre, quelle che il giudice ha respinto (sbagliando), ce ne fossero di fondate; ma la loro fondatezza non era “manifesta”; e quindi…
Tornando all’art. 18, siccome i criteri di interpretazione giuridica delle leggi questi sono (art. 12 del codice civile), ne deriva che il giudice potrà reintegrare il licenziato solo quando, da subito, senza indagini, senza prove, “manifestamente ”appunto, è sicuro che il motivo economico non sussiste. Se invece dubita, se per decidere deve acquisire prove, allora niente reintegro. E cosa al suo posto? Ma è chiaro, l’indennizzo. E infatti Monti-Fornero lo dicono espressamente: “nelle altre ipotesi”, cioè quando l’insussistenza del motivo economico va accertata con una normale istruttoria dibattimentale (prove, testimonianze, perizie), quando dunque non è “manifesta”, di reintegro non se ne parla. Magari alla fine salterà fuori che il motivo economico non c’è; ma, siccome è stato necessario un vero e proprio processo per rendersene conto, niente reintegro, solo un po’ di soldi.
DA QUI DERIVANO TRE CONSEGUENZE MICIDIALI:
LA PRIMA:
Il reintegro per motivi economici non ci sarà mai. Davvero si può pensare che un’azienda licenzi con motivazioni che da subito, senza alcun dubbio, “manifestamente”, si capisce che sono una palla? Se anche la motivazione economica è infondata, sarà certamente motivata bene; e quindi sarà necessario un normale processo, come si fa sempre. Solo che, a questo punto, l’insussistenza del motivo economico, anche se accertata, non è “manifesta”; e il lavoratore non potrà essere reintegrato.
Il reintegro per motivi economici non ci sarà mai. Davvero si può pensare che un’azienda licenzi con motivazioni che da subito, senza alcun dubbio, “manifestamente”, si capisce che sono una palla? Se anche la motivazione economica è infondata, sarà certamente motivata bene; e quindi sarà necessario un normale processo, come si fa sempre. Solo che, a questo punto, l’insussistenza del motivo economico, anche se accertata, non è “manifesta”; e il lavoratore non potrà essere reintegrato.
LA SECONDA:
I giudici saranno in un mare di guano. Perché, in alcuni casi, l’insussistenza del motivo economico ci sarà; ma, per essere sicuri, un po’ di istruttoria va fatta. Un giudice non può dire: “È così’”. Deve motivare perché è così; e per questo è necessaria l’istruttoria. Ma, se la fa, addio reintegro. Mica male come dilemma.
I giudici saranno in un mare di guano. Perché, in alcuni casi, l’insussistenza del motivo economico ci sarà; ma, per essere sicuri, un po’ di istruttoria va fatta. Un giudice non può dire: “È così’”. Deve motivare perché è così; e per questo è necessaria l’istruttoria. Ma, se la fa, addio reintegro. Mica male come dilemma.
LA TERZA:
Aseconda dell’interpretazione che il giudice darà del concetto “manifesta insussistenza” gli diranno che è uno sporco comunista o uno sporco capitalista. Della serie: “Se la mente del giudice funziona, la legge è sempre buona” (Snoopy sul tetto della sua cuccia). “Certo che con questi giudici…; anche le leggi migliori, che il sindacato si è ammazzato per ottenerle (o che il governo si è dannato per scriverle), non funzioneranno mai. La responsabilità per gli errori dei magistrati, ecco quello che ci vuole”.
Aseconda dell’interpretazione che il giudice darà del concetto “manifesta insussistenza” gli diranno che è uno sporco comunista o uno sporco capitalista. Della serie: “Se la mente del giudice funziona, la legge è sempre buona” (Snoopy sul tetto della sua cuccia). “Certo che con questi giudici…; anche le leggi migliori, che il sindacato si è ammazzato per ottenerle (o che il governo si è dannato per scriverle), non funzioneranno mai. La responsabilità per gli errori dei magistrati, ecco quello che ci vuole”.
Ma, a questo punto: davvero Camusso & C, Bersani & C, a tutto questo non ci hanno pensato? O si sono accontentati di una (finta) dimostrazione di forza, del tipo: “Abbiamo costretto il governo etc etc; guardate come siamo bravi”?
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