Berlinguer: un comunista
di Dino Greco
Il 28 luglio del 1981, Enrico Berlinguer rilasciava ad Eugenio Scalfari, per La Repubblica, una famosa intervista, passata alla storia come la più dura (e autorevole) denuncia del sistema corruttivo che attraversava la vita dei partiti, degenerati in comitati d'affari.
Così si esprimeva Berlinguer in un passo cruciale: “I partiti sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”.
Contro Berlinguer si scagliò a quel tempo e con veemenza Giorgio Napolitano , che riteneva la critica asprissima contro Craxi e il gruppo dirigente “impadronitosi” del Partito socialista un ostacolo alla collaborazione con quel partito e un oggettivo impedimento al primario obiettivo di scalare il potere.
Ma la “questione morale” rinviava ormai, esplicitamente, ad un tema più di fondo, relativo alla natura stessa del Pci, alla sua cultura politica, alla dimensione strategica del suo progetto politico che Napolitano e tutta la corrente “migliorista” consegnavano ormai ad una netta virata, ad una “conversione” socialdemocratica, che revocava la stessa prospettiva di una trasformazione in senso socialista della società.
Lo scontro divenne acutissimo e investì nodi per nulla riducibili ad astratte dispute scolastiche: dall'attacco alla classe operaia, al sindacato, all'indicizzazione dei salari (la scala mobile).
La distanza fra le posizioni in campo si allargava sempre di più, sino a mettere in discussione la stessa leadership di Berlinguer. Che in una riunione della Direzione del partito rese drammaticamente esplicite natura e dimensioni del dissenso, della vera rottura di faglia, che si era aperta nel partito e che porterà parte cospicua degli epigoni del Pci alquanto lontano dalla storia e dalla cultura comuniste.
In quella riunione, Berlinguer si espresse così: “Io ho capito molto bene che c'è qui una parte di voi che vuole trasformare il Pci in un partito socialdemocratico. Sappiate che io a questa cosa non ci sto e che io non sarò mai il segretario di un tale partito. Se voi volete fare una cosa del genere lo farete senza di me e contro di me”.
Poco più tardi Berlinguer morì, e ognuno sa come le cose siano andate, sino a quale punto si sia spinta l'abiura e quale approdo abbia conosciuto il Pci, nella sua impressionante metamorfosi, dopo la svolta della Bolognina, sino alla deriva liberista. Non sorprende, dunque, che Giorgio Napolitano sia oggi di questa svolta mentore e interprete e che Mario Monti, uomo della Trilateral, abbia potuto trovare in lui il più convinto sostenitore.
Contro Berlinguer si scagliò a quel tempo e con veemenza Giorgio Napolitano , che riteneva la critica asprissima contro Craxi e il gruppo dirigente “impadronitosi” del Partito socialista un ostacolo alla collaborazione con quel partito e un oggettivo impedimento al primario obiettivo di scalare il potere.
Ma la “questione morale” rinviava ormai, esplicitamente, ad un tema più di fondo, relativo alla natura stessa del Pci, alla sua cultura politica, alla dimensione strategica del suo progetto politico che Napolitano e tutta la corrente “migliorista” consegnavano ormai ad una netta virata, ad una “conversione” socialdemocratica, che revocava la stessa prospettiva di una trasformazione in senso socialista della società.
Lo scontro divenne acutissimo e investì nodi per nulla riducibili ad astratte dispute scolastiche: dall'attacco alla classe operaia, al sindacato, all'indicizzazione dei salari (la scala mobile).
La distanza fra le posizioni in campo si allargava sempre di più, sino a mettere in discussione la stessa leadership di Berlinguer. Che in una riunione della Direzione del partito rese drammaticamente esplicite natura e dimensioni del dissenso, della vera rottura di faglia, che si era aperta nel partito e che porterà parte cospicua degli epigoni del Pci alquanto lontano dalla storia e dalla cultura comuniste.
In quella riunione, Berlinguer si espresse così: “Io ho capito molto bene che c'è qui una parte di voi che vuole trasformare il Pci in un partito socialdemocratico. Sappiate che io a questa cosa non ci sto e che io non sarò mai il segretario di un tale partito. Se voi volete fare una cosa del genere lo farete senza di me e contro di me”.
Poco più tardi Berlinguer morì, e ognuno sa come le cose siano andate, sino a quale punto si sia spinta l'abiura e quale approdo abbia conosciuto il Pci, nella sua impressionante metamorfosi, dopo la svolta della Bolognina, sino alla deriva liberista. Non sorprende, dunque, che Giorgio Napolitano sia oggi di questa svolta mentore e interprete e che Mario Monti, uomo della Trilateral, abbia potuto trovare in lui il più convinto sostenitore.
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